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La terrazza

Regia di Ettore Scola vedi scheda film

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La recensione su La terrazza

di ROTOTOM
8 stelle

Ettore Scola e il suo cinema da camera. In questo caso, terrazza di un palazzo patrizio della Roma bene, incastonata tra i tetti capitolini, sui cui marmi solcati da convenuti borghesi vecchi o in procinto di diventarlo, viene rappresentata l’infelice decadenza intellettuale di una generazione di perdenti. Gli invitati si mostrano i denti l’un l’altro nel pieno esercizio dell’ipocrita gentilezza delle persone perbene, mentre tutto intorno la loro vita va in pezzi. Film magistralmente costruito per episodi in cui ognuno dei protagonisti mette in scena la propria natura fallace, uniti da uno stratagemma narrativo efficace e magistralmente condotto. I vari punti di vista della stessa storia partono dal medesimo invito a mettersi a tavola da parte della padrona di casa per poi deviare verso il soggetto che viene rappresentato. Teatro filmato, completa scena ai prim’attori liberi di esprimere le loro parti come su un palco. Fedele alla propria natura Scola chiude tutti in interni e li soffoca, li schiaccia contro le loro responsabilità, fallimenti, disillusioni non senza attimi di umorismo a volte grottesco o sarcastico. Anche la terrazza è un luogo chiuso e soffocante, luogo in cui i soliti convenuti raccontano le solite storie, le solite barzellette bloccati in un loop di infelice ripetizione di ciò che poteva essere stato divertente e interessante ma dal quale non riescono a liberarsi più. Film di potente statura drammatica visti anche gli interpreti, quello che rende memorabile quest’opera è la scrittura del film, firmata dallo stesso Scola con Age e Scarpelli. Scrittura che fa impallidire gli esercizi di mediocre minimalismo intellettuale tipici del cinema contemporaneo, anemico di idee e talento. Politica, arte, cultura, denuncia e critica del mondo del cinema stesso si fondono ad una messa in scena che non sconta la soverchiante verve degli attori ma si amalgama alla perfezione in un processo coeso e intellettualmente importante. Senza rinunciare ai tempi della commedia che fanno filtrare i temi sottopelle, inoculati dal riso, sublimati dalle personalità di vari mattatori. Mastroianni direttore di un giornale politico osteggiato dal comitato editoriale del giornale stesso e costretto ad andarsere; Serge Reggiani, raffinato intellettuale ma finito a fare il bigio funzionario RAI per i programmi culturali che viene soverchiato da esigenze commerciali, autori di rottura quanto raccomandati, che muore alla stregua dell’eroe della sua opera preferita: Capitan Fracassa, seppellito da neve finta nei sotterranei della RAI durante le prove per l’opera stessa. Ugo Tognazzi e Ombretta Colli coniugi produttori di cinema sull’orlo della separazione che decidono di produrre un testo drammatico di un presuntuoso giovane regista. Satta Flores critico cinematografico incazzato. Gassmann deluso deputato del Partito Comunista che ama ricambiato la giovane Stefania Sandrelli. Jean Luis Trintignant scrittore di cinema in crisi depressiva che deve produrre un testo comico. Decadentismo e disillusione abitano questi personaggi seguiti entomologicamente nei loro habitat in cui dimostrano di non saper più vivere, attraverso di loro Scola critica la società, i rapporti umani, compie una autocritica velenosa e autoironica sul proprio mondo, quello del cinema e dei suoi meccanismi. Mostra qualcosa che finisce, senza la presa di coscienza intellettuale di tale fine, solo una meccanica accettazione del decadere fisico, morale e spirituale di una società ritorta su sè stessa che se la canta e se la suona senza apparente contatto con nessun altro. Tra intellettualismi e ripicche, frustrazioni e patetismi, battute acide e fulminanti lampi di genio, dichiarazioni di resa e lacrime, il film finisce così, con i depressi signori a cantare intorno ad un piano, mentre fuori un acquazzone lava i tetti. Due giovani sulla soglia della terrazza semplicemente parlano comunicano amabilmente anche se non sentiamo ciò che dicono. Commedia amarissima da vedere e tramandare, caustica e acuta, intelligente nella scrittura e capace di alternare l’umorismo della commedia all’italiana alla denuncia di una società borghese obsoleta e sfatta, ritratta verso il bolso cammino verso la fine. Uno degli ultimi esempi di grande opera italiana prima dell’avvento del nulla.

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