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Evangelion: The End of Evangelion

Regia di Hideaki Anno, Kazuya Tsurumaki vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Evangelion: The End of Evangelion

di Stanley42
stelle

Crudo, monumentale, apocalittico: "The End of Evangelion" è questo e molto altro. Ad ogni spettatore il compito di interpretare gli eventi o di lasciarsi travolgere da essi. In entrambi i casi il risultato è sconvolgente. Classico intramontabile dell'animazione moderna.

scena

Neon Genesis Evangelion: The End of Evangelion (2019): scena

 

Prima che Anno e il nuovo studio Khara decidessero di spremere fino all'ultima goccia la popolarità dell’opera originale, tramite l'operazione commerciale della nuova versione cinematografica (pessima sotto parecchi punti di vista), il regista aveva messo la parola fine alla sua creatura: "The End of Evangelion" è il suggello di un percorso straordinario, la chiusura perfetta per un progetto mastodontico.

Forte del successo ottenuto e spinto dalle innumerevoli lettere dei fan, che chiedevano (anche attraverso minacce di morte) una degna conclusione per la serie originale, Anno ritorna a distanza di poco tempo ad ideare un epilogo che possa chiarire i punti oscuri lasciati in sospeso. E in effetti il film del 1997 non è che una riscrittura dei tanto criticati episodi 25-26, con tanto di suddivisione in due tranche di eguale lunghezza per richiamare la struttura originaria della serie.

Proprio per questo motivo va fatta una doverosa precisazione: “The End of Evangelion” non è un film fruibile come opera a sé stante, ma anzi si configura come un prosieguo degli eventi narrati sul piccolo schermo, risultando perciò del tutto incomprensibile a chi non avesse visionato la serie tv. Ma altrettanto doverosa è una considerazione ulteriore: Hideaki Anno dimostra di non avere la minima intenzione di rispondere a tutti i quesiti posti. Il film chiude alcuni interrogativi principali, come il destino della Nerf e l’esito del Progetto per il Perfezionamento dell’Uomo, aprendo però al contempo la strada ad innumerevoli nuove domande sui protagonisti e le loro vicende.

Oggetto anomalo e sfuggente a qualsiasi catalogazione, “The End of Evangelion” scoraggia alla visione un pubblico casuale non avvezzo ai meccanismi dell’universo narrativo di Anno, ma al contempo si inimica anche la maggior parte dei fan, non cedendo mai il passo a facili ed immediate interpretazioni.

 

Tutte le tematiche che avevano animato la serie originale vengono qui ripresi ed ampliati a partire dalla trama stessa con la consueta genialità e gusto, che contraddistinguono il suo autore. Molteplici al solito gli spunti di riflessione, ma tra questi l’evoluzione dei personaggi è sicuramente il più interessante dell’opera: ognuno dei protagonisti trova il suo giusto spazio all’interno della narrazione e riveste un ruolo cardine in quello che è lo scontro finale per la salvezza o la dannazione dell’umanità, una battaglia che, ci ricorda Anno, è tutta interna ad ogni uomo, che quotidianamente vive la guerra contro il mondo e gli altri suoi simili, che lo circondano.

Shinji, messo di fronte alle sue responsabilità, accetta per la prima volta di non distogliere lo sguardo dai problemi e inizia il suo percorso di crescita che lo condurrà a scegliere di salvare l’umanità, quell’umanità che tante volte nel corso della serie aveva disprezzato e demonizzato. È anche una vittoria personale contro sé stesso, contro il suo naturale egoismo che troppo spesso lo aveva condotto a scegliere la fuga come unica soluzione possibile. Ma abbracciare il mondo significa, prima di tutto, accettarne le assurdità e le cattiverie con tutto il male e il dispiacere che questa scelta comporta: il dramma dell’incomunicabilità fra viventi non si esaurisce in un lieto fine banale e scontato, anzi non si risolve affatto.

Il messaggio finale di Anno è decisamente più amaro rispetto a quello della serie: trovare il coraggio di vivere non implica una scomparsa dei problemi, ma anzi comporta mettere a repentaglio tutte le proprie sicurezze nel tentativo di comprendere l’altro che ci sta di fronte, con il rischio sempre dietro l’angolo che ciò si risolva in una sonora delusione.

Nel caso di Shinji, l’altro non può essere che Asuka, rappresentazione vivida della femminilità più sensuale ed erotica, meta irraggiungibile fin dall’inizio e contraltare perfetto alla naturale chiusura d’animo del protagonista. Le sequenze oniriche che vedono insieme i due personaggi, sono le più belle dell’anime e fra le più ispirate della storia dell’animazione: scene cariche di tensione psicologica e sessuale, che Anno dirige con maestria ed abilità, volte a far percepire la tragicità del desiderio d’amore distorto che anima i due ragazzi.

La celeberrima scena della masturbazione non è che l’esempio più lampante di quanto appena detto: Shinji riesce ad esprimere il desiderio sessuale nei confronti di Asuka soltanto quando questa è incosciente e dunque incapace di rispondere al suo bisogno disperato di affetto.

Quando poi il ragazzo sceglie la salvezza per sé stesso e il mondo, è proprio lei che si ritrova accanto sulla spiaggia, priva di sensi, come due novelli Adamo ed Eva. E allora, in una delle sequenze che ritengo più d’impatto della storia del cinema, il desiderio si trasforma in odio: strangolando Asuka, nella scena ricca di connotazioni sessuali, Shinji si illude di consumare quell’amplesso troppo a lungo rimandato e di troncare quell'eterna distanza che lo separa da lei; ma la ragazza non appare minimamente sfiorata dall’azione violenta del giovane, che ancora una volta fallisce nei suoi intenti. La delicatezza della carezza con cui Asuka placa la furia omicida di Shinji è commovente, in quanto unico gesto di affetto che ella gli abbia mai riservato.

Ma il pianto nervoso e liberatorio del protagonista che segue viene accolto da una freddezza inamovibile, poiché è questa la cruda verità che chiude l’intera opera: nonostante tutte le fatiche e gli sforzi, nel profondo, restiamo incomprensibili e distanti gli uni dagli gli altri.

“Che schifo”.

 

A sostenere un lavoro di tali proporzioni ci pensa anche e soprattutto un comparto tecnico da brivido: la regia di Anno si fa sperimentale a livelli mai toccati prima, con sequenze oniriche al limite della psichedelia alternate ad altre in cui si respira puro cinema, grazie all’ausilio di primi piani e campi lunghi che restituiscono un colpo d’occhio impressionante. Opera d’arte a se stante il montaggio delle sequenze con gli effetti sonori, anch’essi di prim’ordine e sostenuti da una soundtrack maestosa e solenne capace di rendersi indimeticabile (“Komm susser Todd” su tutte). Forte questa volta di un budget di rispetto e dell’ausilio della Production I.G. per gli effetti speciali, Anno non bada a spese e sguinzaglia tutto il suo estro creativo, che qui raggiunge un apice mai più eguagliato.

Ultima nota di merito al doppiaggio italiano: rendere al meglio le sfaccettature d’animo di personaggi così complessi era un’impresa davvero titanica, che i nostri eccellenti doppiatori hanno però superato con successo, dando vita ad una delle interpretazioni più ispirate di sempre.

 

“The End of Evangelion”, a distanza di oltre vent’anni, resta una pietra miliare nel mondo dell’animazione e del cinema tutto, con buona pace dei suoi innumerevoli detrattori. È un’opera faticosa, che richiede sforzo da parte degli spettatori pronti ad accettare la sfida di comprenderla a fondo. Ma al contempo si prefigura come la migliore conclusione possibile per la saga, perfettamente in linea con le sue premesse. In due parole: definitivo e monumentale.

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