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Ultimo tango a Parigi

Regia di Bernardo Bertolucci vedi scheda film

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La recensione su Ultimo tango a Parigi

di Serum
7 stelle

 

L'ultimo, disperato tentativo di fuggire da una vita che schiaccia, che da sempre tenta di distruggere sogni e speranze annegandoli silenziosamente nelle delusioni, nel tempo che uccide ogni giorno, nello squallore di convenzioni sociali che stuprano la bellezza e coprono di ridicolo la verità di ogni essere umano. Per Paul, Jean è il riscatto di un'esistenza disperata, imbevuta di un'amarezza profonda come l'oceano e pervasa da un'inconoscibile perfidia che non si vede, ma si fa sentire. Per Jean, Paul è l'ideale passaporto per scappare dalla tensione morale del mondo che la circonda: la guerra, l'arte, la politica, il moralismo, le ideologie tramontate, il passato che ritorno, la cultura occidentale con le sue contraddizioni intrise di sangue ("tutto quello che è fuori da qui è solo merda"). La chiave per il riscatto, per fuoriuscire da tutto e tornare a respirare sembra nelle loro mani, nella loro carnalità senza nome, dispersa nel tempo di una Parigi decadente quanto ubriaca di estreme misure. Ma ecco che la realtà torna malignamente a farsi sentire, a dirci che lasciarsi andare anche solo per un istante al capogiro di una meravigliosa illusione può essere fatale, perché scoperti gli altarini e messa a nudo la verità, Jean decide che ad una vita libera ma dozzinale preferisce la gabbia dorata: un matrimonio borghese asservito alla noia quotidiana verso un domani che non c'é, mentre il ricordo di un amante senza nome, brutale e tenero, deciso e fragile, appartenente ad una generazione in cui entrando in un bar le si sarebbe rivolto chiamandola "pupa" (un po' come Terry Molloy... un po' come Stanley Kowalski), lancia l'ultimo sguardo verso un futuro destinato a restare un sogno. È un film a cui sono profondamente affezionato, in cui solo i titoli di testa con i quadri di Francis Bacon accompagnati dalla maestosa colonna sonora del mai abbastanza compiato Barbieri sono sufficienti a rievocare in me tantissimi ricordi, in cui giganteggia un Marlon Brando straordinario, in cui miriadi di citazioni al cinema classico americano, francese ed italiano (Massimo Girotti ed il suo segreto per restare in forma...) vengono ben inserite nella narrazione, e nel quale Storaro da una delle sue prove migliori di sempre. Tuttavia, anche se a malincuore, non posso sorvolare su tutta una serie di grossolani difetti che si porta dietro: oltre ad essere molto (forse troppo) debitore ad altri di certe scelte stilistiche (su tutti Godard, ma anche Pasolini e Ferreri), è eccessivamente verboso, cosa che per lo meno in parte contraddice la pretesa trascendenza erotico-sessuale cui aspirerebbe. E volendo essere onesti fino in fondo, rispetto ad altre opere simili coeve (o anche precedenti) batte comunque terreni ben più facili e risaputi (l'amore impossibile in una società che opprime, il bruto scontroso con la nobile fuggiasca, il sesso come rivalsa sociale), finendo col risultare a più riprese abbastanza gratuito. 

 

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