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Radiofreccia

Regia di Luciano Ligabue vedi scheda film

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La recensione su Radiofreccia

di Andreotti_Ciro
7 stelle

In una notte di giugno dei primi anni ‘90 Bruno Iori sta mandando in onda l’ultima trasmissione di Radio Freccia, emittente radiofonica di Correggio che quella sera, poco prima di compiere la maggiore età, chiuderà definitivamente i battenti. Per spiegare agli ascoltatori cos’abbia rappresentato la radio per chi come lui era maggiorenne a metà degli anni ’70, Bruno inizia a ripercorrere la sua storia e quella di chi assieme a lui ha dato vita a una radio libera nel cuore dell’Emilia.

 

Cos’abbia spinto Luciano Ligabue, rocker di Correggio e, da settembre 1998, anche regista di buon successo a portare sul grande schermo le sue narrazioni, i suoi personaggi, prima cantati e poi terminati su carta, con la raccolta Fuori e dentro il borgo, è la probabile necessità di donare una sembianza fisica a tanti protagonisti fino a quel momento immaginati dai suoi fans oltre all’inevitabile desiderio di ripercorrere, attraverso Bruno, Bonanza, Freccia, Iena, Bonanza e Kingo, fan sfegatato di Elvis, rocker per passione e metalmeccanico per necessità, la propria giovinezza con le prime radio libere e le serate passate fra il bar e a piazzare dischi sul ‘piatto’ nel tentativo (reale) di imitare il più quotato ‘Vasco Rossi di Punto Radio’.

 

Il primo sforzo cinematografico del Liga non tradisce minimamente il desiderio di piazzare molta carne sul fuoco cucinandola, anzi mixandola, in maniera anche schizofrenica. La trama saccheggia sapientemente da una serie di personaggi il cui humus è quello della provincia emiliana che a metà dei ’70 forniva poco di più di un bar, un gruppo di amicizie granitiche, i problemi della vita adulta e quelli della droga, declinata nella maniera più feroce possibile, mischiando il tutto in una sceneggiatura a quattro mani con Antonio Leotti, e avvalendosi di attori all’epoca ancora poco più che emergenti, basti pensare a Stefano Accorsi, che anche grazie al ruolo di Freccia ha poi saputo costruirsi una carriera internazionale, Ligabue riesce a strappare ben più di un semplice sorriso a chi quegli anni li ha vissuti anche se ad altre latitudini. C’è infatti molta passione da parte di chi la settima arte l’ha fruita copiosamente, con una citazione fin troppo palese e non certo nascosta per Federico Fellini, omaggiato dalle scritte che appaiono a mezz’aria e che introducono i vari capitoli del film; ma c’è anche altrettanto Stefano Benni con i suoi stereotipi umani da Bar Sport. Nonostante queste due licenze la trama funziona, la colonna sonora è di grande livello e i riconoscimenti che arrivarono copiosi, fra cui Nastri d’argento e David di Donatello, furono tutti quanto mai meritati.

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