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Vampires

Regia di John Carpenter vedi scheda film

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Eric Draven

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La recensione su Vampires

di Eric Draven
8 stelle

 

Nel 1998, per la durata di un’ora e quarantotto minuti, John Carpenter esce con lo strepitoso Vampires. Uno dei film in effetti più lunghi della sua carriera che, appunto, sfiora le due ore di durata. Ma quasi due ore di adrenalina pura come il Cinema di genere più autoriale, ferino e secchissimo, asciutto come il viso rapace del butterato e purulento, violento James Woods. Cinema paradigmatico della poetica di John e concentrato a sua volta di sottogeneri triturati, organizzati, miscelati, frammentariamente coagulati, viscerali e armonizzati in un film che non lascia un sol istante di tregua, godibile al massimo, che scorre tagliente, radente come un’affilatissima, sbudellante lama a stuzzicar la nostra pelle e a squartarla di zampillante, euforica, sanguinosa estasi cinefila. Quella più ribalda e splendente. Vampirismo cinematografico esso stesso ancora una volta ispirato ad Howard Hawks, che attinge al crepuscolarismo di Sergio Leone, coi suoi ossessivi primi piani insistiti, le sue zoomate e i suoi ralenti calibrati con ardente, passionale classe da campione di razza qual è Carpenter. E chi sennò? Un film che è un horror di origine controllata, un western atipico di bruciante epicità smisurata, un road movie divertentissimo e cazzuto, tutto e di più. Un classico, rigoroso, piccolo capolavoro che, nell’inaridito, disidratato del ridicolo cinemino oramai agli sgoccioli e alle porte del nuovo millennio, in cui venivamo invasi da stupidate banalissime, già rifulse in piena gloria. E al solito fu incompreso, osteggiato e picchiato dalla Critica. Un film al mille per mille di John Carpenter, che qui, spiazzando tutti, reinventa sé stesso, shakera la novel di John Steakley, Vampire$, nell’adattamento di Dan Jakoby, e ci offre un delizioso spettacolo perfidamente satanico nel suo angelico assurgere ed essere in toto Cinema trionfale con la sua diretta rudezza elegante che, a prima vista, potrebbe farci apparire questa pellicola come un bizzarro pastrocchio non privo di rozzezze truculente, e invece è magmaticamente, cruentemente, superba magnificenza.

Molti lo paragonarono e lo paragonano tutt’ora a Dal tramonto all’alba di Robert Rodriguez di due anni prima perché, sì, quasi identiche gli sono le ambientazioni del Nuovo Messico e i motel sudaticci nei quali, fragorosamente, con impeto selvaggio e carnale, splatter, deflagra la furia animale dei vampiri assetati di sangue.

Ma secondo me Vampires è nettamente superiore a Dal tramonto all’alba, e non il contrario, affatto. Il film di Rodriguez, scritto e interpretato da Quentin Tarantino, resta uno spassosissimo film genialoide, ma in fondo rimane pur sempre una sciocchezzuola, un divertissement innocuo e burlone, sgangherato e cafone, e sfigura dinanzi a Vampires, Le esplosioni di violenza esibite da Rodriguez impallidiscono, appunto come un vampiro esangue, smorto e cereo, emaciato e illividito, se raffrontate al vivo ardore pirotecnico del film di Carpenter, ove l’ironia si mesce alla raffinatezza e ove l’uso delle musiche contrappuntano i momenti topici del pathos più romantico davvero come se ci trovassimo di fronte a un western da “mezzanotte di fuoco”. A un film di Sam Peckinpah, fra scazzottate, bevute goliardiche, virilità amicale foscamente commovente, suadente e vespertina.

Un film ove il barbarico, grezzo James Woods, dalla camminata sbilenca, il giubbotto di pelle fuori moda, dall’aspetto mingherlino ma rapace e nervoso come un furbissimo volpino, alterna momenti di rabbia fumantina a sguardi silenziosi duri, implacabili e furiosamente espressivi, tirando fuori una delle sue migliori interpretazioni. Spesso nella sua carriera è stato eccessivo, qui ci sta da Dio da verissimo avventuriero carismaticamente bastardo.

Tosto, facilmente irritabile, che va dritto al sodo senza troppe sottigliezze, senza fronzoli e poi, sventrati i vampiri, procede per il suo enigmatico, imbrunito, decadentistico, dorato cammino. In questo film, sì, è divino.

Ove i vampiri non dormono nelle bare foderate come il Conte Vlad di Bram Stoker, sono spogliati di ogni aura romantica, insomma non sono Gary Oldman del Dracula di Coppola, e non sono neppure le creature dolci, efebiche e pallosamente omosessuali dei libri di Anne Rice.

Qui, il maestro vampiro è uno stronzo bestiale, inaudito, infrangibile e sovrumano, un maudit che s’ingozza del sangue delle sue prede scarnificate e lecca perfino voglioso le parti intime femminili, trangugiando piacere nel mordere le sue vittime come fosse un amplesso.

Si chiama Valek, traslato dalla regione d’origine proprio del Dracula di Stoker, la Valacchia. E possiede il fascino sensuale di un magnetico e fighissimo Thomas Ian Griffith, che indossa una tunica nerissima da sacerdote alla Matrix, incute a ogni sua apparizione davvero paura, e sembra realmente un Marilyn Manson seducente e dall’impressionante ascendente. Almeno il Manson dal carisma sbranatore e innegabile di quegli anni lì.

 

Trama...

 

Jack Crow (James Woods) e la sua banda scalcagnata di cacciatori di taglie si guadagnano da vivere nel dare la caccia ai vampiri. Li scovano e li bruciano vivi.

Crow è un uomo che ha una sola missione nella vita. Uccidere ogni vampiro ancora esistente per conto del Vaticano. Ma, adesso, dal sepolcro di un passato immemorabilmente lontano che pareva per sempre sepolto, è resuscitato il primo vampiro della storia, Valek, il più potente e minaccioso di tutti.

E Crow deve ora riuscire a ucciderlo prima che Valek possa completare il rituale sacro che gli permetterà di riuscire a vivere anche in pieno giorno. Sarebbe una sciagura per l’umanità perché un vampiro che vive alla luce del sole è un vampiro inarrestabile.

In questa sua avventura, Crow è accompagnato dall’unico collega e amico rimastogli, Anthony Montoya, detto Tony (Daniel Baldwin), e da un prete (Tim Guinee) incaricato di accompagnarlo nell’impresa.

I tre sono affiancati anche da una prostituta (Sheryl Lee), che è stata morsa da Valek, la quale dunque è in contatto telepatico con lui e può servire loro per spiare le mosse di Valek e poterli condurre alla sua tana.

Fotografia rossastra e poi cupa del fido Gary B. Kibbe, che gioca molto bene coi contrasti chiaroscurali notte/giorno, con le luci e i tramonti, creando una straniante atmosfera di morte, solitudine e angoscia, con le ombre, le rifrangenze lunari e i flebili raggi solari così come già aveva fatto con Il signore del male.

Qui però siamo fra le pampas e allora satura il tutto con una fotografia spesso e volentieri pigmentata di rosso acceso e aggressivo.

Daniel Baldwin non è mai stato così bravo e simpatico.

E poi dove avete mai visto dei vampiri uscire dal fango del New Mexico?

Quando abusate della parola cult, affibbiandola a delle stronzate, sappiate che va usata per un film così. E non per la robaccia che scambiate per buona.

Vampires, un film eretico, anticlericale, fuori da ogni schema ed ermeneutica, un film mitico e poliedrico.

  

 

 

di Stefano Falotico

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