Regia di Antonio Pietrangeli vedi scheda film
Una convincente alternativa al "Neorealismo rosa"
Lazio, anni ’50: la storia della poverissima e sprovveduta Celestina, catapultata - alla ricerca di un lavoro - dal montano paesello di Castelluccio a Roma, grande metropoli che nel dopoguerra sta espandendo velocemente le sue tentacolari periferie. E le possibilità di impiego non mancano di certo: Celestina attraverserà numerose esperienze lavorative come serva, sempre sfruttata e spesso umiliata da padrone di diversa estrazione sociale, tutte dispotiche ed esigentissime nei suoi confronti. Parallelamente procede la sua iniziazione (mediata dalle più esperte amiche domestiche che prima la emarginano poi la integrano nel loro gruppo) dallo stato iniziale di “barbarie” a quello di cittadina civilizzata e all’amore. A un certo punto si pone un dilemma tra un aitante idraulico un po’ troppo focoso e intraprendente (il divo Gabriele Ferzetti, il cui nome nei titoli di testa precede significativamente quello della vera protagonista, la brava Irene Galter) e un questurino certo meno affascinante, ma sicuramente configurabile come più rassicurante “buon partito”. Celestina segue la voce del cuore e sull’onda del sentimento si lascia andare ad alcune leggerezze ed imprudenze che pagherà a carissimo prezzo. In definitiva il rito di iniziazione si risolve in degradazione morale, avvilimento, come se la grande Roma avesse fagocitato la piccola montanara inesperta.
Il tutto raccontato da Pietrangeli con sobrietà e oggettivo distacco, senza facili moralismi o aprioristiche condanne morali, attraverso personaggi ben delineati nelle loro ambivalenza e complessità psicologica: la classica suddivisione melodrammatica tra buoni e cattivi in questo film non è affatto così scontata. Pertanto ci troviamo di fronte a un’autentica tranche de vie, raccontata con convincente realismo, amarezza ma anche qualche timida apertura verso una possibilità di riscatto e di una vita migliore.
Il film presenta numerosi motivi di interesse di ordine storico e sociologico che ne rendono ancora raccomandabile e interessante la visione. In primis troviamo un quadro molto verosimile della vita nelle borgate romane all’inizio degli anni ’50, colte in un momento post-ricostruzione bellica di ripresa economica. Poi una attenta analisi sociologica della borghesia e dell’aristocrazia romana, colta nelle sue diverse componenti e tipologie umane e in particolare del rapporto squilibrato e iniquo tra ricchi e poveri, tra borghesi e contadini.
Il limite forse più vistoso sta nell’evidente squilibrio tra una prima parte, tutta coerentemente impostata sui temi sociali di cui ho appena detto e una seconda parte più dilatata in cui si verifica un evidente cedimento e ripiegamento su più convenzionali e abusati motivi sentimentali, tra i quali in particolare il tema della “sedotta e abbandonata”, ovvero delle inevitabili e disastrose conseguenze di ogni minimo cedimento sentimentale da parte di una “ragazza da marito”. In ogni caso, in questa lusinghiera opera prima gli spunti interessanti e le buone intuizioni di regia prevalgono decisamente sui punti deboli e rendono altamente consigliabile la visione del film.
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