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L'odore della notte

Regia di Claudio Caligari vedi scheda film

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La recensione su L'odore della notte

di cheftony
8 stelle

“Ma chi ero io? Chi erano Maurizio, il Rozzo, gli altri? Io, che per tanto tempo, mi sono sentito invincibile solo dopo una rapina. Maurizio, che solo su una macchina nuova si sentiva felice. Coi suoi ricordi confusi, la sua adolescenza solitaria. Il Rozzo, con la durezza, l’infanzia tra i rifiuti e la baracca. Le testate in faccia a qualcuno e quella sua ombra intorno, che gli derivava forse da tutto questo. E Mezzalira, con la sua avidità e le sue paure. E tutti gli altri ragazzi, continuamente imbarcati in qualcosa di storto per campare e con la galera socchiusa davanti. Per il momento ero libero, ma la mia era una libertà avvelenata.”

 

The Scent of the Night (1998)

 

Roma est, 1979: Remo Guerra (Valerio Mastandrea) è un rapinatore di strada, capo di una banda i cui soci sono il ladro d’auto Maurizio Leggeri (Marco Giallini) e il povero diavolo Roberto Salvo (Giorgio Tirabassi). La tecnica del trio è brutale ma collaudata: nel buio delle notti romane, inseguono automobili di lusso per poi aggredirne gli occupanti in un luogo isolato e farsi consegnare pellicce, catenine, orologi e denaro.
Ciascuno ha le proprie motivazioni per condurre questa vita balorda: Maurizio è un solitario che ama le macchine, le donne e le apparenze, mentre Roberto è un non violento che ha bisogno di sfamare la famiglia; Remo – nomen omen – è in guerra: originario della borgata romana, è un poliziotto della celere di Torino in licenza. Indisciplinato, abulico, schifato dall’ordine sociale e dalla corruzione all’interno dell’Arma, Remo ha deciso di vivere e rischiare secondo un proprio codice: rubare a volto scoperto ai ricchi borghesi, portare il bottino al ricettatore di fiducia e tirare a campare.
La banda vive momenti di instabilità a causa della scarsa motivazione di Roberto e dei continui andirivieni di Maurizio. Entra così a farne parte anche Marco “il Rozzo” Lorusso (Emanuel Bevilacqua), truce picchiatore dalla vita difficile, ma anche ottimo partner per pensare più in grande e passare alle intrusioni nelle abitazioni. Il gioco si fa così remunerativo, violento e pericoloso…

 

“«L’odore della notte» unisce le due linee fondamentali del cinema: quella di Lumière sulla realtà e quella di Méliès sulla fantasia. Perché? Perché deriva da una suggestione di una storia vera – accaduta quindici anni fa – completamente rielaborata con grande libertà e con grande fantasia, fino al punto che poi io, a posteriori, non distinguo più la parte che deriva dalle mie contaminazioni e quello che è veramente successo.” [Claudio Caligari]

 

Cinema/Cult. “L'odore della notte” di Caligari: ritratto dell'amore tossico  per il potere – Barbadillo

 

Ben quindici anni dopo “Amore tossico” e dopo innumerevoli film immaginati, scritti e mai realizzati, il regista piemontese Claudio Caligari riesce finalmente a dirigere “L’odore della notte”. Lo spunto deriva da un libro del giornalista Dido Sacchettoni intitolato “Le notti di Arancia Meccanica”, frutto di una serie di interviste in carcere ad Agostino Panetta, ex-poliziotto e capo della cosiddetta Banda dell’Arancia Meccanica, che fra il ‘79 e l’83 saccheggiò e terrorizzò le nottate della Roma bene al volgere del tramonto degli Anni di Piombo.
Il trait d’union della (ahinoi) risicata filmografia di Caligari è la borgata romana, rivisitata in circostanze ogni volta diverse ma sempre con uno sguardo diretto e pasoliniano. In questo senso “L’odore della notte” non fa eccezione, nonostante il regista abbia dichiarato di essersi ispirato prevalentemente ad autori quali Melville e Bresson e ai polar francesi. Autore colto e formatosi tra Marco Ferreri, Nouvelle Vague e New Hollywood, Caligari dissemina influenze e citazioni ovunque, dal “Taxi Driver” dell’adorato Martin Scorsese alla scena finale che richiama il cortometraggio “The Great Train Robbery”.
Per quanto stilisticamente rappresenti un unicum nel contesto cinematografico noir italiano – fra rotture della quarta parete, inquadrature gagliarde, freeze frame e lente carrellate – “L’odore della notte” cerca di colpire soprattutto con l’audacia dei temi; la caratterizzazione dei personaggi è tale da non limitarsi al ritratto di giovanotti di borgata senza speranza, senza futuro e senza posto nella società, ma affonda la lama con fare beffardo nell’esporre vizi e debolezze dei borghesi: tresche extraconiugali, fumo, foto osé. Forme di patetica evasione da una vita che vede anch’essi, a loro modo, vittime di un ruolo precostituito. Quella di Remo Guerra è una disperata e scoglionata lotta di classe, scatenata dall’ingiustizia strutturale di un’Italia dove ci sono alcuni che hanno i soldi e dove alcuni non hanno che se stessi. Nel pre-finale Caligari riserva una stilettata (forse un po’ posticcia) perfino alla Democrazia Cristiana e al clero, poteri ipocriti e conniventi in un sistema placidamente immutabile.
Film cupo, teso e senza compiacimenti, “L’odore della notte” sconta forse qualche passaggio a vuoto ed implausibilità, ma nell’insieme fila tutto liscio grazie anche a scelte e direzione degli attori: se Valerio Mastandrea era un 26enne in rampa di lancio in ruoli brillanti, la sua eccellente tenuta (anche come onnipresente voce narrante) in un ruolo così apatico e impegnativo non era da dare per scontata. Marco Giallini e Giorgio Tirabassi, volti oggi stranoti, al tempo erano conosciuti giusto per i loro lavori teatrali, mentre Emanuel Bevilacqua rappresenta una vera e propria intuizione pasoliniana, giacché è stato semplicemente notato per caso ai margini delle riprese. Il sopracitato quartetto funziona egregiamente, pur andando ad evidenziare le lacune recitative di diverse seconde linee di attori non professionisti. Ma – con tutti i suoi limiti – merita una menzione speciale il cantante Little Tony (peraltro non privo di esperienze da attore nei musicarelli anni ‘60), protagonista con Giallini di una memorabile scena in cui si ritrova in ostaggio e costretto ad intonare la sua “Cuore matto”.
Si tratta del titolo meno ricordato fra i soli tre lungometraggi che il regista nativo di Arona è riuscito a realizzare: recentemente restaurato in concomitanza dell’uscita del documentario “Se c’è un aldilà sono fottuto – Vita e Cinema di Claudio Caligari”, vale benissimo una visione.

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