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The Hunt

Regia di Craig Zobel vedi scheda film

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La recensione su The Hunt

di Furetto60
6 stelle

Thriller-horror, originale nell'idea di fondo, ma velleitario sugli spunti politico-sociali.

Dodici sconosciuti si risvegliano, con un morso in bocca, in mezzo ad una radura dove sono state condotti privi di sensi, a loro insaputa, Non si sono mai visti prima, non sanno dove sono, né come siano arrivati lì. Disorientati e spaventati s’incamminano verso il centro di un bosco, in cui campeggia una enorme cassa di legno, al cui interno c’è un arsenale delle armi più disparate (e, per motivi di sottotesto, un maiale di nome Orwell). Pochi secondi dopo, vengono sommersi da una gragnuola di proiettili, frecce e granate e si ritrovano a scappare all’impazzata per cercare di salvare la pelle Dopo essersi liberati intuiscono che qualcuno li ha messi lì e li ha armati artatamente ,per potersi godere appieno il gusto per una bella caccia all’uomo e devono  essere di volta in volta eliminati ,molti di loro vengono abbattuti subito da colpi di fucile.Pochi altri, tra cui Crystal, ex soldato delle forze armate, iniziano una rocambolesca fuga per la sopravvivenza. Ma cosa è successo? un gruppo di ricchi imprenditori liberal seguendo la traccia di quella che era stata solo fino ad allora una teoria complottista fantasiosa, ha selezionato una dozzina di ultraconservatori per una caccia all’uomo senza via di scampo. Le vittime designate sono state scelte sulla base dei loro profili social e, per la loro adesione alla teoria di cui sopra, chiamata “il gioco della fattoria” cosi dall’immaginazione si è passati alla realtà. Peraltro nel gioco mortale i ruoli si confondono e non tutti sono quello  che sembrano.Ultimo film della Blumhouse, la casa specializzata in thrillers pieni di risvolti horror che negli anni recenti ha infilato una serie di successi, dalla saga della "Notte del giudizio" al già classico "Scappa-Get out". In "The hunt" la trovata insolita e a modo suo efficace, è l'inversione dei ruoli tradizionali. Nel filone delle infinite storie di cacce all'uomo, la violenza è di destra. I cacciatori sono ricconi sadici e annoiati, ex nazisti, o reduci dal Vietnam che non hanno perso la voglia di uccidere. Qui le carte sono invertite. I cacciatori cattivi sono americani delle upper class, liberal democratici ricchi  che hanno presumibilmente  votato  Clinton e Obama e che nella vita di tutti i giorni  seguono un comportamento  politicamente corretto,mentre le prede sono tutti repubblicani oltranzisti e complottisti, oltre che ovviamente xenofobi e razzisti e appartengono all'America profonda e rurale, seguaci di  Bush e magari recentemente di Trump, in pratica  i violenti e intolleranti sono le vittime, mentre i tolleranti e progressisti costituiscono la minaccia omicida. Ma ciò non tragga in inganno il film non è un’apologia del partito repubblicano americano, bensì è il tentativo, anche se non sempre convincente, di disegnare un ritratto satirico e violento di un mondo confuso, in cui realtà e finzione si sovrappongono nelle bolle autoreferenziali dei social media, dove verità e menzogna si mescolano nell’insalata mista che è diventata la Rete. La regia mette in ridicolo tanto i complottisti xenofobici, quanto l’élite finanziaria che ha inserito nel novero delle sue vittime perfino un afroamericano, per ragioni di par condicio. Il sottotesto politico è chiaro, anche se un po' velleitario: entrambe le fazioni sono come deformate dallo specchio dei “social” sono tipologie umane che si sviluppano all’ombra dei piccoli trionfi dei loro podcast complottisti o dei retweet progressisti delle celebrities più alla moda. La regia vorrebbe mantenersi neutrale stando dalla parte della sua protagonista, una donna che sembra non avere niente a che vedere con le altre vittime radunate e tantomeno con i suoi aguzzini, sa usare le armi, è lucida e l’unica in grado di sopravvivere, non intende scappare ma andarli a stanare. Il nomignolo della combattiva come “Palla di neve” dovrebbe indurre i più appassionati di significati “tra le righe” a pensare all’allegoria insita nella famosa “La fattoria degli animali “di Orwelliana memoria, tuttavia l’accostamento è confusamente audace. Sia i ricchi liberal che i più modesti repubblicani, hanno delle ragioni per fare o aver fatto che quel che hanno fatto o stanno facendo, ragioni che affondano in fake news e utilizzo morboso dei social. Ennesima trasposizione del romanzo “La partita più pericolosa” di Richard Connell, pubblicato nel 1924, Oltre a un adattamento cinematografico ufficiale già nel 1932 sono stati girati innumerevoli rip-off, che ne hanno ‘usato’ in modo più o meno riuscito il concept. Tuttavia è difficile individuare i bersagli delle stoccate satiriche di The Hunt. Forse i liberali boriosi e ricchissimi, che passano il tempo a soppesare gli accenti e a vantarsi di come Ava Duvernay apprezzi i loro post su Instagram? O i “deplorevoli” individui che indossano il noto cappello rosso del MAGA. In pratica solo il fattore ricchezza diviene il reale “distinguo “Il punto non è quindi che la diabolica Athena e i suoi soci siano dei liberal, quanto piuttosto che siano dannatamente ricchi. Fino a quando l’attenzione non si focalizza pienamente sulla tenace Betty Gilpin, Nick Cuse e Damon Lindelof disseminano lo schermo di ‘false piste’ su chi sia il vero protagonista. Al netto di pretenziose riflessioni socio-politiche, il film  non è comunque privo di un suo perverso fascino, soprattutto se le aspettative sono per un survival horror che garantisca omicidi spettacolari e improvvisi. In definitiva, la vena satirica offerta da The Hunt è confusa e irregolare, indecisa su quanto spingere sul pedale del ‘commento sociale’ a scapito dell’intrattenimento, e viceversa.

 

 

 

 

 

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