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La stagione della strega

Regia di George A. Romero vedi scheda film

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La recensione su La stagione della strega

di SamP21
8 stelle

Terzo film di Romero, sfortunato all’uscita nelle sale, poco apprezzato da pubblico e minimamente analizzato.

 

La trama in breve:

Una casalinga vorrebbe uccidere il proprio marito. Per farlo ricorre alle pratiche della stregoneria di cui però non si impratichisce a sufficienza. Alla fine, non sarà più in grado di distinguere tra il sogno e la realtà…

 

Bisogna dire che Jack’s Wife – Hungry Wives – Season of Witch (questi i diversi titoli con cui è uscito il film) ci aiuta anche a capire e a leggere There’s Always Vanilla (1971), il secondo film del regista; in quel caso Romero e soci volevano realizzare una commedia sulla “borghesia” e sui giovani dell’epoca, con anche momenti “sperimentali”, ma il film era sfuggito di mano al regista che difatti anche in seguito lo ha praticamente disconosciuto.

 

Di “Season of Witch” Romero invece era molto fiero. Il film ci racconta la crisi di una donna, moglie e madre; fin da subito capiamo che  si alterneranno due piani di visione, il piano onirico, che affronta le paure e desideri della protagonista, e quello conscio.

 

La protagonista si sente rinchiusa nella sua vita, trattata dal marito come un “cane” o un oggetto, svilita nel suo ruolo di madre a causa della necessità di indipendenza dalla figlia e infine sofferente per l’età che avanza, per l’impossibilità di una realizzazione completa come donna e persona. A fronte di tutto ciò, dall’altro lato, coesiste un forte desiderio di fare esperienze extraconiugali.

 

Per quanto concerne il piano onirico, sono presenti tanti riferimenti alla psicologia della donna, che in questa sua crisi si avvicina alla stregoneria, attraverso il tramite di oggetti e  ripetizioni di alcune scene. Il rimando alla stregoneria è realizzato in maniera “pratica” e poco mistica; il procedimento del film anticipa, se vogliamo, la visione laica del vampiro in “Martin” (1977).

 

Attraverso gli incubi viene svelata la mente di questa donna, in primis la sua percezione di subalternità nei confronti del marito e il suo conseguente desiderio di rivincita e vendetta. Durante gli incontri sociali a cui assistiamo, la festa e il primo incontro con George, emerge la sua volontà di capire altri aspetti della vita, in un sentimento di stanchezza verso un modo di vivere che non ha più senso per lei.

 

La stregoneria diventa quindi la chiave di liberazione per la protagonista, attraverso questa, o meglio lei crede sia così, chiama il giovane uomo che desidera, come desidera essere libera e giovane; attraverso la stregoneria vuole fare un maleficio al marito-padrone.

 

Nella reiterazione dell’incubo in cui un uomo entra in casa mascherato per violentarla (e qui torniamo in parte a “La notte dei morti viventi” (1968) anticipando anche “Martin”), Romero ci regala momenti di “home invasion” visivamente eccezionali. Il risultato è quello di suscitare un terrore genuino, grazie alla tecnica di scomposizione dell’invasione, le cui azioni negli incubi successivi vengono anticipate dalla donna, fino al finale dove sogno e realtà si uniscono e deflagrano.

 

La donna compie involontariamente (?) il suo desiderio e spara al marito pensando fosse l’assalitore; spara da dentro casa verso fuori, mentre il protagonista del primo, immenso, film del regista veniva ucciso da fuori dalla casa, in due scene che si collegano e si intrecciano.

 

La casa, ci dice ancora Romero, è il posto da cui guardarsi; i rapporti personali e familiari sono il ricettacolo dove si celano tanti aspetti regressivi della civiltà moderna. Proprio  con quel colpo di fucile finale, prima di mostrarci l’iniziazione come strega, c’è un richiamo ad un umore, ad una volontà di violenza che circola in tutta la nazione; siamo nel 1972, il Watergate è alle porte, la guerra in Vietnam è agli sgoccioli, le rivolte sono finite, ma la maggioranza silenziosa ha imposto alla Nazione un sottofondo velenoso e pericoloso, la paura ha preso il sopravvento e le armi parlano.

 

L’anno dopo Romero realizzerà, parlando sempre di violenza, un altro gioiello ovvero “The Crazies”.

Season of Witch, titolo ispirato da una canzone di Donovan che risuona anche nel film, porta avanti la visione dei “mali” della società per Romero.  Pur non essendo un film horror, ha momenti di grande tensione, e sul piano narrativo amministra bene il suo materiale per arrivare ai concetti che ritiene fondamentali. La versione estesa, ca. 104 minuti, ci mostra 15 minuti di scene mancanti in quella cinematografica, pur con una risoluzione quasi da “negativo” e riesce a spiegare meglio le azioni della protagonista.

 

Un film ingiustamente dimenticato e poco compreso in cui Romero si sbizzarrisce con riprese anomale, che fin da subito ci mostrano la visione distorta e non più conciliante della donna; e dà sfogo alla sua visione dei rapporti sociali, come continuerà a fare in tutta la successiva filmografia.

 

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