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Doctor Sleep

Regia di Mike Flanagan vedi scheda film

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La recensione su Doctor Sleep

di Malpaso
6 stelle

Il talento visivo di Flanagan si misura con il capolavoro di un maestro del cinema.

La recensione che segue la trovate anche sul mio blog.

 

Doctor Sleep è un’opera stretta tra influenze di spessore, differenti ed a tratti inconciliabili. Da una parte il gusto per la narrativa pura e fantastica di Stephen King, dall’altra l’iconografia cult dello Shining di Stanley Kubrick; lì in mezzo si ritrova Mike Flanagan, nome di minor richiamo ma provvisto comunque d’invidiabile talento, padre del buon Il gioco di Gerald e del capolavoro Hill House.

 

Prendendo in mano la storia di Dan Torrance, figlio del mitico personaggio che fu interpretato da Jack Nicholson, il regista cerca di ibridare la didascalica messa in scena del romanzo originale con la propria poetica romantica, verseggiata da una filmografia horror nella quale demoni e presenze oscure sono i riflessi di traumi irrisolti. Il risultato è uno spettacolo a tratti prolisso, ma che Flanagan tiene in piedi dandogli ritmo e trovando molti spunti visivi interessanti. Il rischio del ridicolo era dietro l’angolo, vista anche una trama che, a conti fatti, racconta di un gruppo di creature umanoidi, un po’ zingari un po’ hippie senza dottrina, che si aggirano per gli Stati Uniti in cerca di bambini ai quali succhiare la luccicanza (lo shining, appunto); invece, questi villain si rivelano una delle componenti più intriganti della pellicola, grazie alla capacità dell’autore di permearli di un’atmosfera al confine tra il misticismo ed il conturbante e, soprattutto, alla straordinaria prova attoriale della loro leader, Rebecca Ferguson.

 

Purtroppo, causa anche un’impronta visiva più elegante che violenta, Doctor Sleep non spaventa: più che di horror, si potrebbe parlare di un urban fantasy dalle tinte orrorifiche; la messinscena di Flanagan è suggestiva, salvo poi scivolare più volte in una chiusura troppo esplicita nel citare il prestigioso predecessore, tanto pedante da mettere in dubbio l’intelligenza dello spettatore, che tali accostamenti è in grado di farli senza che il film debba denudare svergognatamente le proprie intenzioni. È infatti nell’inevitabile confronto finale che l’opera di Flanagan cade, schiacciata da suo stesso complesso d’inferiorità nei confronti di un pezzo di storia del cinema che prova a riportare in vita, addentrandosi nel silenzio ieratico dell’Overlook Hotel, ma trovandovi solo incertezza tra gli spettri di un grande passato.

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