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The Nest (Il nido)

Regia di Roberto De Feo vedi scheda film

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La recensione su The Nest (Il nido)

di GIANNISV66
9 stelle

Bellissima sorpresa questa pellicola del (quasi) esordiente Roberto De Feo. Un thriller gotico che agguanta l'attenzione dello spettatore con una trama suggestiva e una recitazione di altissimo livello. Peccato per il finale inadeguato. Ma una visione la merita tutta

Una sontuosa villa ottocentesca immersa in un parco è la residenza di Elena e del figlio Samuel, un ragazzino alle soglie dell’adoloscenza paralizzato su una sedia rotelle (frutto di un misterioso incidente avvenuto molti anni prima e mostrato nell’incipit del film)

Samuel vive in una condizione di apparente agiatezza, con la madre sempre vigile nel controllare ogni sua mossa. Ma fin dalle prime sequenze appare evidente che il quadretto di vita familiare non è improntato alla serenità: gli adulti che abitano la villa (alcuni zii, un prete, il personale di servizio e un medico a dir poco inquietante) nascondono a fatica disagio e tensione, e in breve tempo si capisce che l’ameno luogo non è abbandonabile dai suoi abitanti, che intorno al parco aleggia una minaccia (non definita se non nella scena finale) e che il gruppetto è sottoposto a una convivenza forzata e tutt’altro che piacevole.

L’elemento di rottura nella vicenda è costituito dall’arrivo della bella Denise, coetanea di Samuel, proveniente dal mondo esterno su cui però non lascia trapelare nulla.

Inevitabilmente le attenzioni del giovane padrone di casa sono attirate dall’esuberante fanciulla, e tra i due nasce una simpatia che non sembra incontrare il favore della arcigna madre.

 

The Nest (Il Nido), diciamolo subito, è stato una sorpresa assolutamente positiva. Roberto De Feo alla sua prima esperienza nel lungometraggia cala il poker d’assi e si presenta con un film spiazzante, realizzato benissimo con una cura per i dettagli veramente professionale.

Per dare delle coordinate precise al lettore diciamo che non siamo dalle parti dell’horror (se non per un paio di scene peraltro estremamente significative per quella che sarà la spiegazione conclusiva, e per il finale, di cui andremo a parlare e che rappresenta, a parere di chi scrive, il punto debole della costruzione), piuttosto del thriller psicologico con forti venature gotiche.

 

Tutto è dunque scelto con cura in questo lavoro, a partire dalla location (davvero suggestiva, una villa immersa in un parco alle porte di Torino, città che con il mondo del thriller/horror ha un legame speciale fin dai tempi del miglior Dario Argento), passando per la splendida fotografia (davvero di altissima qualità lavoro di Emanuele Pasquet), per la colonna sonora (Where is my mind dei Pixies in versione pianoforte è una splendida trovata, così come la scelta della Gazza Ladra di Rossini in uno dei passaggi più folli del film) e arrivando a un cast esemplare.

Francesca Cavallin nel ruolo di Elena mostra una bravura eccezionale: la bellissima attrice veneta si cala talmente nella parte da riuscire ad essere assolutamente credibile nel ruolo di una madre severissima, che mortifica il suo aspetto gradevole in panni sobri e scoloriti, più consoni a una megera. Bene anche la giovane Ginevra Francesconi nell’intepretazione di Denise mentre appare meno bravo e più impacciato Justin Korovkin (italiano pure lui, sia pur di padre canadese) nella parte di Samuel.

Scelta dunque meno riuscita ma compensata ampiamente da quella di un Maurizio Lombardi semplicemente strepitoso nei panni di Cristian, un medico attraversato da una evidentissima vena di follia, cosa che lo rende il personaggio più inquietante di tutta la storia.

 

Come in fondo è fisiologico per un’opera prima anche qui sono ravvisabili alcuni punti di riferimento che hanno guidato il regista: il senso di angoscia che accompagna una comunità sottoposta all’assedio di entità non definite rimanda a The Village, capolavoro di Shyamalan, mentre la suggestiva ambientazione in una spettrale villa da cui risulta impossibile allontanarsi parimenti porta alla memoria dello spettatore il geniale The Others di Amenabar, così come il personaggio della Cavallin ricalda quello che fu di Nicole Kidman, una donna il cui gelo e rigore riescono a mortificare il piacevole aspetto fisico.

Restando invece nell’ambito dell’horror di casa nostra, troviamo un omaggio a Dario Argento, e in particolare a Suspiria, il gioco di colori che adorna alcune stanze portano alle ambientazioni del capolavoro del maestro romano, mentre l’oscurità della labirintica villa e l’angoscia che traspare da ogni muro e da ogni porta porta alle pellicole della stagione d’oro del “gotico italiano”.

 

Tutto bene dunque? No, purtroppo la nota dolente c’è, ed è pure dolentissima: il finale. Nelle battute conclusive la pellicola di De Feo vira nell’horror più banale, e la soluzione proposta appare scontata e assolutamente non all’altezza con tutto il resto del lavoro.

Certamente se gli sceneggiatori fossero riusciti a trovare una spiegazione conclusiva all’altezza dei due film sopra citati di Shyamalan e Amenabar, probabilmente saremmo qui a parlare di “capolavoro”.

Invece ci limitiamo a rimarcare quanto sia bella questa pellicola, che merita comunque una visione, e quanto sia inadeguato il finale.

Indeciso fra le tre stelle e mezzo e le quattro (comunque una stella in meno del dovuto per la delusione nella scena finale), viste le potenzialità del regista voglio sbilanciarmi fino alle quattro. E ne aggiungo mezza perché questa pellicola è comunque una delle migliori cose viste negli ultimi anni.

Ma la prossima volta ci aspettiamo il colpo d’ala definitivo!

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