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Un giorno di pioggia a New York

Regia di Woody Allen vedi scheda film

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Andreotti_Ciro

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La recensione su Un giorno di pioggia a New York

di Andreotti_Ciro
5 stelle

Una coppia di studenti universitari decide di trascorrere un fine settimana a New York per consentire a Ashleigh d’intervistare il famoso regista Roland Pollard. I due partono in pullman alla volta della grande mela, ma una serie d’inaspettati eventi, fra cui la famiglia di Gatsby del tutto ignara del suo passaggio in città, creeranno nella coppia un temporaneo allontanamento.

 

Ennesima perla, non certo indimenticabile, della sconfinata filmografia di Woody Allen che in passato ci ha portato sul lettino dello psicoanalista e nel centro della sua mente labirintica, tormentandoci con ragionamenti a un passo dalla follia per poi finirci con battute in puro stile yiddish. Date queste premesse l’ultima pellicola tanto ostracizzata oltre oceano, causa le accuse di molestia piovute sul regista e che hanno portato il suo ultimo lavoro a essere diffuso solamente a due anni dalla conclusione delle riprese, non aggiunge nulla a quello che già il primo Allen aveva saputo offrirci. Storaro, maestro della fotografia e immancabile collaboratore di Allen, incornicia una splendida New York uggiosa e che cambia aspetto a seconda dei fenomeni atmosferici che la percuotono, anche se è all’interno degli attici e dei grandi appartamenti di Manatthan che si consuma la vera narrazione di un week end da commedia degli equivoci. Allen frattanto ci trascina ancora una volta lungo quello stesso Hudson che tante volte ha fatto da sfondo alle sue pellicole più celebrate, in una metropoli ove piaghe sociali e mendicanti non hanno trovato casa, come se fossimo avvolti in una bolla spazio temporale che proietta i due protagonisti, facoltosi rampolli di famiglie agiate, tra bar fumosi e le strade in pietra vista del Greenwich Village. Impiegando Timothée Chalamet, ventiquatrenne attore dal nome francese ma dai solidi natali newyorkesi, come suo giovane alter ego e dal quale verremo lentamente, ma altrettanto metodicamente, catechizzati su amore, jazz, letteratura e l’ipercriticismo nei confronti di una famiglia che non apprezza. Dall’altro lato Ellen Fenning, ne impersona invece l’antitesi al femminile desiderosa di avvicinarsi alla grande metropoli perchè attratta dalle mille luci che da questa s’irradiano e che il regista impiega per denigrare la vacuità del lavoro di regista e del cinema Hollywoodiano in genere. Nel mezzo un lento peregrinare da un’abitazione all’altra, da una sigaretta alla seguente, sempre incastonati all’interno di una città splendidamente autunnale, fino a un finale prevedibile e che ci fa augurare che alla prossima fatica il regista di Match Point possa tornare in sella stupendoci.

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