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Funny Games

Regia di Michael Haneke vedi scheda film

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La recensione su Funny Games

di OGM
10 stelle

L’angoscia si solidifica, dopo aver imperversato per l’aria, urtando contro il muro impenetrabile del cinismo di Paul e Peter, gli spietati artefici dei funny games. Il terrore nasce e finisce sotto l’impalpabile forma del suono, partendo leggero dalle loro labbra come un suadente annuncio di sventura, per poi precipitare nel lacerante grido che, da fuori campo, suggella la tragedia ormai consumata. Il loro piano criminale esclude l’imprevisto: tutto è rigorosamente programmato, esplicitamente descritto ed eseguito secondo lo schema prestabilito, sotto gli occhi delle vittime, sempre pienamente coscienti del destino che le attende. La tortura  è un gioco di cui si spiegano preliminarmente le regole, uno spettacolo di cui si legge in anticipo il copione: eppure la tensione è fortissima, come quella che accompagna un condannato a morte nel tragitto verso il patibolo. Non è l’incertezza a creare paura, perché il panico vero e proprio è, al contrario, lo stato d’animo scatenato dalla disperazione, dalla  consapevolezza di una sorte inesorabile, che non lascia alcuna via di scampo.  L’aggressione improvvisamente subita dalla famiglia protagonista di questo film è l’incubo lucido e tagliente che irrompe, come una lama di coltello, nella loro tranquilla vita borghese: l’animo sadico dei due ragazzi psicotici si esalta all’idea di sostituire l’anonima normalità con un’atroce evidenza, una terrificante realtà visiva a cui si è obbligati ad assistere, e che in un attimo devasta la pacifica integrità del consueto quadro quotidiano. Materializzare l’allucinazione è la missione “estetica” dei personaggi kubrickiani di Shining e Arancia Meccanica, per i quali la distruzione dissacratrice è una forma d’arte sublime, l’unica in grado di calpestare fino all’ultimo tabù. D’altro canto, costringere a vedere è l’estrema prova cui il cinema può sottoporre lo spettatore e, di riflesso, anche se stesso: il test che, al di là di ogni dubbio, ne può avvalorare la validità come strumento di intrattenimento, di persuasione, di gratificazione dei sensi e dello spirito. Controllare ciò che accade e prevedere le reazioni del pubblico sono le funzioni attraverso cui il cinema esercita il suo potere: in due momenti del film, Haneke  gli concede, sorprendentemente, di scoprire le sue carte, lasciando che Paul esca dal ruolo interpretato per intervenire esplicitamente, dall’esterno - con commenti ed effettive manipolazioni - su questi occulti meccanismi espressivi. L’autore della finzione, della messa in scena, che, in questo caso, si confonde con l’azione architettata dai due criminali, vuole che noi sappiamo, istante per istante, il motivo per cui proviamo certe sensazioni e maturiamo determinati pensieri: non si limita a somministrarci un’esperienza terribile, bensì si impegna a guidarci passo dopo passo, in questo percorso infernale, affinché comprendiamo, fino in fondo, che tutto è stato studiato apposta per noi.

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