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Il sindaco del rione Sanità

Regia di Mario Martone vedi scheda film

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GIMON 82

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La recensione su Il sindaco del rione Sanità

di GIMON 82
8 stelle

Dall'omonima opera del maestro De Filippo, Martone trae un opera equilibrata tra tanto teatro ed estetica da fiction.Un film di corpi e tanta dialettica "criminale", accattivante quanto basta.

C'è Napoli in questo film, con tutto il suo corollario di contraddizioni, dall'abbandono sociale ad un crimine eretto a "parastato",vi sono le ville pacchiane e decadenti di novelli "guappi 2.0" ,vi è poi un sunto di magia popolare,portato da quella "teatralità" partenopea del grande Eduardo De Filippo.

Mario Martone da ottimo regista teatrale e da napoletano colto e sensibile alle tematiche della sua città,porta in scena la pieces teatrale "Il sindaco del rione Sanità",capolavoro di umanità e letteratura che ha portato Napoli in giro per il mondo.

L'incipit del film di Martone ci porta però nel ventre di una periferia "Gomorriana", sia nell'estetica che nel sincopato ritmo Rap che accompagna lo spettatore. Il murales gigante di Maradona dialoga con noi,portandoci ad una periferia ferita  dai colpi di pistola, che suonano il ritmo di una disputa ferina tra adolescenti.

O'Nait e Palumiello rappresentano ciò, una costola di un substrato popolare ,abbandonato dallo stato, che dopo una resa dei conti si rivolge al "Sindaco" del rione, tale Antonio Barracano (un sorprendente Francesco Di Leva) per appianare la lite in modo che "non abbia un seguito". Ma prima devono estrarre quel "colpo" calibro 9 dalla gamba del giovane, portarlo alla Madonna di Pompei come in una processione verso simulacri di una malavita che batte colpo su colpo. Però vi è la coscienza morale del "professore",chirurgo e braccio destro di Barracano,medico che col suo lavoro omette fatti di sangue e dispute di quartiere a ribadire che i proiettili vanno portati negli scavi di Pompei,per un umanità oramai abbrutita dall'involgarimento e il crimine.

Martone dunque rimanendo fedele al testo di De Filippo,(comunque inarrivabile) traspone sul grande schermo un testo di letteratura di spessore,che qui abdica ad una modernità fatta di "kitsch" e involgarimento.

Se il Barracano di De Filippo,era un Eduardo fragile e anziano,un "ras" di quartiere oramai saggio e segnato dal tempo, il nuovo "sindaco" di Martone è un malavitoso aitante e "di presenza", dotato di una "vis" da personaggio fedele ai Savastano di "Gomorra" per gesti e parole.

La bravura di Martone è stata quella di aggirare l'ostacolo,non cadendo in una retorica fatta di sangue e violenza,rimanendo ancorato ai valori di un umanità "teatrale" ,distante dai prodotti televisivi che narrano del "milieu" criminale napoletano.

Antonio Barracano è certamente un cafone arricchito,un tipo che si è macchiato di misfatti, ma è rimasto comunque fedele ad un codice "antico" da capraio sfruttato e brutalizzato dai campieri.

L' attore Francesco Di Leva non ha le "phisique du role" di De Filippo, ma è comunque ottimo nel donare umanità e dignità ad un personaggio complesso e sfaccettato. Egli è una sorta di coscienza morale degli "ignoranti" un padrino a cui si rivolge la povera gente per trovare una sorta di "Santo patrono" ,appianando misfatti e sventure.

Emblematica è la frase del sindaco,quando dice al dottore che "l'ignoranza" della gente è un latte da cui abbeverarsi per aumentare prestigio e consensi.

Il film gode dunque di un impianto teatrale, statico quanto basta,per far divenire la villa Vesuviana di Barracano luogo di corpi,dispute e incontri.

Egli si muove scaltro e carismatico,appianando e picchiando giovani sbandati, umiliando usurai ed erigendosi a "Patrono" degli ultimi,degli abbandonati dalle famiglie, come quel Rafiluccio Santiniello che si presenta da Barracano con la fidanzata incinta,chiedendo udienza perchè vuol uccidere il padre avaro e despota.

La prima parte si concentra sulla famiglia Barracano,sulla moglie azzanata dal rottweiller " Malavita" per cui il sindaco nutre un amore paterno,ci presenta inoltre le figure della corpulenta governante, del fidato "professore" che vuol rifarsi una vita in America ma è osteggiato da Barracano, e della prole del Sindaco in cui vige un amore sconfinato verso il genitore. Il personaggio del dottore è quello più sfaccetato, degno rappresentate di una borghesia perbene che però si è prestata con rimorso al fianco della malavita. Bravissimo l'attore Mauro De Francesco nel tratteggiare di dolente saggezza il suo dottore,depositario di segreti e milioni del giovane "Sindaco".

Nella seconda parte avviene il punto di svolta dell'opera con l'incontro/scontro tra Barracano e  Arturo Santiniello,padre del giovane ripudiato,un uomo "onesto e lavoratore" a suo dire, arrichitosi con sacrifici e abnegazione all'arte di panificatore.

Martone lascia il via libera ai suoi attori che si esprimono con totale arte e mestiere,mettendo in scena un confronto di dialettica partenopea, dove emergono i valori sacri della famiglia e del duro lavoro. La terrazza del Barracano diventa una sorta di ring dove le prove attoriali di Di Leva e del bravissimo Massimiliano Gallo ci regalano pezzi di bravura di un teatro partenopeo che riprende a piè pari l'arte mimica di De Filippo.

Questo confronto riporta in mente al sindaco l'umiliazione subita da ragazzo,quando fu malmenato da un proprietario terriero,poi ucciso dallo stesso Barracano che durante il processo riuscì a comprarsi la giuria e ad essere assolto.

La regia di Martone qui restringe il campo sui valori antichi soppiantati dall'involgarimento e dall'egoismo moderno.

Nel finale emerge dunque la figura "cristologica" del sindaco che si sacrifica per il bene comune,chiudendo il sipario su di se e gli altri consumando un "ultima cena" a mò di mafioso in odore di santità.

Rimarranno di lui il valore e l'onore nel fermare altre "guerre" e spargimenti di sangue,regalandoci un pezzo di cinema italiano inedito e girato con maestria e mestiere da Martone,nel disegnare un pezzo di umanità popolare e d'altri tempi che si confronta scontra con l'umanità abbrutita dell'oggi,uscendone col petto squarciato ma col cuore vincitore.

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