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Il sindaco del rione Sanità

Regia di Mario Martone vedi scheda film

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La recensione su Il sindaco del rione Sanità

di Furetto60
7 stelle

Trasposizione cinematografica del capolavoro di Edoardo. Lodevole e coraggioso il lavoro di Martone. Improponibile il confronto con l'originale.

Antonio Barracano, è un uomo d’onore, che sa distinguere la gente buona da quella cattiva, è ‘Il Sindaco’ del Rione Sanità. La città è ai suoi piedi, letteralmente, in quanto la sua masseria abusiva, è stata costruita ai piedi del Vesuvio, senza l’ausilio di architetti e ingegneri, ma da lui stesso, con le sue mani,aiutato solo da un capomastro. Non è un banale capoclan, ma un uomo tutto d’un pezzo, carismatico, saggio ed equidistante, violento all’occorrenza, ma con un suo codice e una carismatica influenza, insieme all’amico medico amministra la giustizia secondo i suoi personali criteri, al di fuori dello Stato e al di sopra delle parti. Chi ‘tiene santi’ va in Paradiso e chi non ne ha va da Don Antonio, questa è la sua convinzione, dispensa al popolo i suoi consigli e impone le sue “regole” che nulla hanno a che vedere con la legge. Riceve i postulanti, ascolta i fatti, indaga e poi sentenzia, risolvendo in modo sbrigativo i contenziosi, la gente fiduciosa si rivolge a lui per risolvere questioni, ottenere protezioni, soddisfazioni, consigli. E lui, sentite tutte le campane «soltanto per i morti ne suona una sola» compone e dispone. Esercita con equilibrio, il suo ministero di protettore degli ignoranti, quelli che non possono affidarsi ad avvocati, giudici, ingegneri, carabinieri, perché ne uscirebbero sconfitti, e allora vanno da lui, per una soluzione semplice e definitiva.Perfino la moglie Armida azzannata dal cane "malavita" deve subire le sue decisioni super-partes:il cane ha ragione perchè fa la guardia alla masseria, la moglie ha torto perchè incautamente si è avvicinata al suo "territorio" Poi due balordi che si sparano per un banale conflitto di competenza, entrambi saranno “puniti” uno perché ha cercato di “prendersi la pagnotta altrui” e l’altro perché ha sparato, senza prima informarlo ed senza avere il suo permesso, poi riceve un usuraio che ha messo alle corde  un padre di famiglia, imponendogli enormi tassi d'interesse, lo umilia platealmente, salvando il tartassato,che con enfasi, celebra la bontà di Don Antonio, sarà successivamente il primo a tradirlo. Infine il «fatto» più spinoso. Rafiluccio Santaniello, è il disperato figlio di un ricco fornaio, deciso a commettere un parricidio. Il genitore Arturo Santaniello, un maturo vedovo, avrebbe abdicato ai suoi doveri paterni, cacciandolo di casa, riducendolo alla fame, insieme alla compagna, che oltretutto è in avanzato stato di gravidanza,mentre lui possidente, spenderebbe i suoi soldi, per una giovane donna, che lo avrebbe concupito per interesse.A questo proposito c’è un splendido monologo. Dice Barracano al furioso ragazzo che afferma di sentirsi in dovere di compiere l’estremo gesto, perché deve “fare l’uomo”:” Uomo è colui che, rendendosi conto di avere torto, ha il coraggio di ammetterlo, di scusarsi, di tornare indietro assumendosene la responsabilità, Uomo sono io, non tu” Don Antonio non si accontenta della versione del figlio, vuole sentire anche l’altra campana, e cosi invita il padre, lo accoglie con cortesia e si apre con lui, confidandogli i suoi travagliati trascorsi. Da ragazzo aveva fatto il capraio e si era contrastato con un pastore di nome Gioacchino, il quale lo aveva pestato, a causa di un presunto sconfinamento delle sue pecore nel terreno attiguo, di sua proprietà. Questo episodio lo aveva traumatizzato, al punto che non riusciva più a campare, non mangiava, non dormiva, non trovava pace, finché un giorno aveva maturato la decisione di uccidere Gioacchino, si era poi procurato dei testimoni falsi ed era riuscito a venirne fuori pulito. La conversazione ha un tono amabile, ma quando Don Antonio accenna ad entrare nel merito della questione che ha diviso il padre dal figlio, viene scortesemente stoppato da Arturo Santaniello, che si rivela per quello che è,un padre snaturato e disamorato. ’O Sindaco, riconosce nell’impeto del giovane lo stesso legittimo sentimento di rivalsa, che da ragazzo lo aveva ossessionato e poi gli aveva cambiato per sempre la vita. Malgrado la sua avversione per Arturo Santaniello, prova a ricucire lo strappo, si reca nel negozio, con l’intento di mediare e li si consuma il dramma. Il panettiere spaventato, alla vista di Barracane, lo ferisce gravemente con un coltello. Don Antonio non si reca al pronto soccorso, ma in compagnia del fidato medico e dei suoi scagnozzi, si fa accompagnare nella casa della Sanità,dove convoca tutti coloro che avevano animato la precedente mattinata, per “festeggiare” la partenza, stavolta accordata benevolmente al Dottore, in quell’occasione obbligherà Santaniello portato lì di forza, a fare una donazione al figlio e soprattutto eviterà una catena di vendette e ritorsioni, facendo credere che la morte che lo coglierà di li a poco,sarà naturale.Eduardo De Filippo ritorna in questa rivisitazione moderna di Mario Martone, che prima ancora è stato uno spettacolo teatrale. De Filippo come anche Martone, che coraggiosamente lo mette in scena, descrive un clan malavitoso, senza evocare i suoi loschi traffici e la sua realtà fatta di abusi, soprusi  cessazione, ricatti e malversazioni, ma raccontando la mentalità, il modo di essere e di sentire, l’idea di una giustizia “fai da te”. Don Antonio qui non è più un vecchio alla fine del suo viaggio, come nell’originale, ma un giovane uomo di oggi, i cui capi sono solo ragazzina. La musica di Ralph P. scandisce i “cambi di scena”. Forse il testo potrebbe sembrare un po’datato, ma in realtà, alcuni principi cui l’autore si è ispirato sono ancora attualissimi. E’ palpabile il pessimismo disincantato del drammaturgo partenopeo, la sua capacità di fotografare Napoli così come era e com'è, nella convinzione che la speranza del cambiamento, stia nelle singole coscienze, nel coraggio di fare la cosa giusta e non certo nelle istituzioni o nella politica. Forse il regista avrebbe potuto ringiovanire la sceneggiatura, ma probabilmente avrebbe snaturato il senso dell’opera. Dunque prendiamolo cosi per buono, ma andando a rivedere il capolavoro girato negli anni sessanta e trasmesso in tv nel 1972.Immaginando un mondo che sia “meno rotondo e un po' più quadrato” per dirla con le parole del protagonista. Francesco De Leva, ci regala una prova più che convincente, Massimiliano Gallo come sempre all’altezza.

 

 

 

 

 

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