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Bodies at Rest

Regia di Renny Harlin vedi scheda film

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La recensione su Bodies at Rest

di supadany
6 stelle

Far East Film Festival 21 – Udine.

Il medesimo compito può essere svolto nei modi più disparati, senza che uno sia necessariamente migliore dell’altro. È possibile mirare alla precisione assoluta o cercare di limitare i danni affidandosi alla simpatia, spremere il proprio specifico talento oppure creare una cortina fumogena che confonda le idee.

Bodies at rest sceglie di scatenare la tempesta in un bicchier d’acqua, rilanciando l’azione a colpi di scena, manovrati tanto più vorticosamente quando il meccanismo arriva vicino al punto d’incepparsi e collassare.

Hong Kong, la vigilia di Natale. Il patologo Nick Chan (Nick Cheung) e la sua assistente Lynn (Zi Yang) sono gli unici in servizio presso l’obitorio locale. Un turno come tanti altri viene sconvolto dall’irruzione di tre gangster mascherati, giunti sul posto per recuperare la prova delle loro malefatte, ovvero un proiettile rimasto all’interno del corpo di un cadavere.

In un primo momento, Nick inganna i tre assalitori che, una volta scoperta la fregatura, torneranno all’attacco, decisi a portare a termine la loro incombenza, senza farsi riguardo di ferire e uccidere chiunque rappresenti un intoppo.

scena

Bodies at Rest (2019): scena

Dopo aver orientato il suo talento action su una forma fantasy con Legend of the ancient sword, Renny Harlin continua la sua campagna asiatica dirigendosi con stentorea decisione su un telaio da thriller. Il regista finlandese porta in rotta di collisione la sua esperienza americana (Spy, 58 minuti per morire) con le competenze cinesi, sviluppando un’altalena tra intuizioni stuzzicanti e quanto di più improbabile sia architettabile, senza mai arenarsi in un temibile attimo di sosta.

Quindi, prima di tutto Bodies at rest è un film d’innato dinamismo, gioiosamente sofferente di una forma acuta di horror vacui, con un’idea di base articolata al punto giusto (diciamo pure che il suo peso specifico è limitato) e circondata dalla notte e dalla pioggia, attorno alla quale girare per novanta minuti compiendo il maggior numero contemplabile di capriole. A voler essere sinceri, ciurla nel manico, ma poi ha dalla sua numerosi assi nella manica, rintracciabili principalmente nelle scene più concitate, ad esempio con pestaggi improvvisi ed estremamente violenti, e in quegli escamotage che colorano lo spartito variandone le tonalità, tanto che in un discreto numero di segmenti potrebbe passare per una parodia dei thriller in assonanza con quanto Scream faceva con l’horror.

Questo modus operandi è indispensabile per (tentare di) sorvolare su un fraseggio argilloso, non ascoltare dialoghi risibili e dar lustro a una pirotecnica sfida tra un uomo dalle mille risorse e un trio di malcapitati (e parzialmente decerebrati), talmente scevro di convenevoli ed eseguito con immarcescibile rapidità, da essere considerabile come un succedaneo di Manhunt di John Woo, giusto un po’ più povero (gli mancano cavalli e colombe, in compenso non difetta di frasi fatte e coreografie scatenate).   

Arrembante e dinoccolato, oltre ogni logica e con un energico uso di corpi e armi.

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