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Un Re a New York

Regia di Charles Chaplin vedi scheda film

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GIMON 82

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La recensione su Un Re a New York

di GIMON 82
10 stelle

Beffardo e "vendicativo",il penultimo film di una straordinaria carriera sempre alle "Luci della ribalta",Chaplin è un  genio riconosciuto tale in ogni anfratto di sua pellicola .Un artista  ripudiato dal paese d'adozione,quell'America che ne celebro' i fasti da cinema degli albori.Quel Chaplin dalle idee umanistiche o radicali sviscerate la prima volta nel 1942,nel corso di una manifestazione a favore delle truppe russe sull'apertura di un secondo fronte americano in Europa.Nell'occasione del discorso Chaplin esordi'  dicendo: Compagni!!!  sbandierando  una certa simpatia per il continente "rosso".La stampa capitalistica americana lo bollo' con diffidenza e sospetto,quasi come un ospite estraneo al "puzzo" di rosso.Partendo dal "Grande dittatore" e sopratutto in "Monsieur Verdoux" il maestro Charlot  vomita un odio viscerale per dittature e sistemi capitalistici che annientano l'uomo, sacrificato nel pensiero libero ed obbediente ai dogmi del profitto e l'armamento.Personaggio scomodo dunque, arrichitosi di certo grazie all'America,ma senza Chaplin il cinema non sarebbe mai stato,quindi gli americani  avrebbero  dovuto "monumentarlo". Invece ci saranno gli Edgar Hoover e i fanatici senatori alla McCarthy ad impartire una "caccia alle streghe" contro il pensiero umanista travestito (secondo loro) da voci "radical".Chaplin fuggira' via dagli Stati Uniti,riparando nell'esilio dorato in Svizzera,come un prigioniero braccato o un criminale funesto.L'America fara' una patetica ammenda nel 1972 riconsegnando Chaplin al visibilio di 8 minuti di applausi(!) nel corso della consegna di un Oscar alla carriera tardivo,quasi "postumo" per chi aveva regalato scampoli di emozioni e arte pura.Chaplin è oramai un anziano dal passo timido ed esitante,a disagio si consegna al pubblico  una  carismatica figura di vecchio malinconico,ormai "vagabondo"  del cinema, amato allo stremo dagli amanti della settima arte."Un re a new york" è una sorta di rivincita,una critica sferzante contro l'America del rock'n roll,del frastuono e del capitalismo.In un "Re a New York" Chaplin prende in giro anche un po se stesso,rappresentando quello che è: un RE,di uno stato europeo esiliato pero' in America.Qui entra in contatto con le abitudini "democratiche" degli states,dalle orribili pubblicita',alle plastiche facciali, fino ad esprimere un invettiva "Chapliniana" attraverso la voce e i gesti di un  bimbo pestifero (Michael Chaplin).Un piccolo  "Marx" in miniatura,dalla voce contro il capitale dominante.Il Chaplin del 1957 non è piu' il vagabondo malinconico e vittima del sistema,ora è  un anziano ribelle e "Monello" contro la societa',la sua regia sottolinea infatti lo sprezzo verso il baccano prodotto dal "progresso".Siamo di certo lontani dalla poesia di una volta,"Un re a New York" è un ottima e lungimirante sferzata, di chi come Chaplin apparteva all' era romantica dei "vaudeville" e dei teatrini,universi oramai  sacrificati all'era del capitale.Un tempo che qui "rimbomba" per Chaplin alla stregua d' una volgarita' conclamata, egli si vendica di cio' prendendo in giro gli "status symbol" d'una finta democrazia.Il grande vecchio rende omaggio alle slapstick di un tempo,"permettendosi" d'innaffiare con un idrante l'attivita' per la commissione "antiamericana". Una "buffonaggine" fuori  tempo resa come sberleffo alla modernita' da parte di un "clown" amareggiato ma mai sconfitto.Si sorride d'ilarita' ma anche  amaramente per le sorti d'un mondo dove la poesia scompare soppiantata dalla funesta "sinfonia" dell'energia atomica.Chaplin offre un quadro esteso tra ingranaggio sociale, vecchia comica e pura satira, sovvertendone le parti e regalando  un illuminante saggio sulla liberta' di pensiero di cui ogni individuo dovrebbe godere .Un film da recuperare assolutamente ,sopratutto per gustare i duetti tra Chaplin e il figlio Michael,l' esilarante piccolo "sovversivo",che nel finale si "macchia" di una confessione coercitiva,un elemento sottolineato dal maestro nella tristezza di fondo del ragazzino,nonchè sua spalla e "alter ego".Nella New york odierna il  candido vagabondo non esiste piu' ,soppiantato da un mondo paranoico,frastornante e diffidente, dove la sua dolce figura è ora quella d'un anziano disilluso e critico verso tutto il resto,che rimane nonostante tutto un irrimediabile e sagace "malincomico".....

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