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Chanson douce

Regia di Lucie Borleteau vedi scheda film

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La recensione su Chanson douce

di alan smithee
5 stelle

CINEMA OLTRECONFINE

All'interno di una giovane famiglia medio-borghese parigina, la giovane moglie e madre di famiglia decide di riprendersi la propria indipendenza economica e professionale, riprendendo a lavorare presso lo studio legale che dovette abbandonare a seguito dei suoi due parti. 

Nonostante qualche riluttanza, il marito si convince a incoraggiare questa scelta ed i coniugi si apprestano a cercare una donna di servizio che possa prendersi cura dei due bambini nelle molte ore della giornata in cui entrambi i genitori saranno impegnati al lavoro.

La scelta, dopo alcuni variegati e sin eccentrici colloqui, cade su Louise, donna di mezza età apparentemente dimessa e un po' timida, ma dai modi assennati ed in grado di ispirare fiducia.

Difatti in poco tempo la donna si rivela un idolo per entrambi i bambini, al punto da indurre i genitori a portarla con loro anche in vacanza, approfittando del fatto che la donna appare sola al mondo, indipendente, senza legami familiari indissolubili o condizionanti.

Quello che non sanno i due giovani genitori, che Louise è alla ricerca di una famiglia da surrogare al proprio vuoto totale che l'ha destabilizzata.

E la sua ossessione di rimanere fuori da quella intimità familiare che è corretto resti un privilegio dei quattro membri originari, induce la donna a comportamenti sempre più strani e sconvolgenti, che la indurranno a rendersi artefice di una vera e propria tragedia della follia.

Opera seconda di Lucie Borleteau dopo l'interessante Fidelio, Chanson douce, sceneggiato dall'autrice assieme al noto attore Jérémie Elkaim (che compare in un breve ruolo tra gli amici di famiglia dei due coniugi) adattando l'omonimo romanzo di Leila Slimani, sembra per vie sommarie una tardiva rivisitazione del thriller americano La mano nella culla del lontano 1992 con Annabella Sciorra (curiosamente piuttosto simile fisicamente all'attrice che impersona la mamma in questo film) e Rebecca De Mornay, più votato al sociale che al thriller a tutto tondo, ed impegnato questa volta a sondare con più cura le ragioni oscure che hanno reso così maniacale ed oscuro il progetto di vita della tormentata governante a scapito della ignara famiglia che si è trovata ad accoglierla con le migliori intenzioni.

Nulla di veramente nuovo, né di realmente sconvolgente a parte la cupezza del personaggio principale, a cui la bravissima Karin Viard ha il merito di conferire una giusta dose di inquietudine in grado di renderla credibile nella follia di fondo devastante che spinge il personaggio fino in fondo al baratro della follia più incontenibile.

 

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