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Instinct

Regia di Halina Reijn vedi scheda film

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La recensione su Instinct

di supadany
6 stelle

Le divisioni sono sempre più accentuate, tanto che ormai è tutto direttamente riconducibile al bianco o al nero, a ciò che viene decretato - a priori - come giusto oppure sbagliato. Pertanto, lo spazio per tutto quanto appartiene alle vie di mezzo, a quelle zone d’ombra che non vogliamo proprio vedere, diventa ogni giorno più risicato/marginalizzato, semplicemente non ammesso/considerato, per non dire visto con riluttanza/disprezzo. In realtà, si tratta di una semplificazione controproducente/limitante, che estromette dalla visuale troppi fattori attivi, che invece avrebbero bisogno di individuare uno spazio adeguato per esprimere la loro voce.

Ebbene, Haline Reijn (Bodies bodies bodies disponibile su Netflix) prova coraggiosamente a porre un parziale rimedio a questo handicap. Dunque, con Instinct affronta un tema particolarmente attuale/sentito, qual è la violenza sulle donne, uscendo con piena autonomia/consapevolezza dalla comfort zone senza denotare alcun tipo di esitazione/semplificazione, alimentando una forte connotazione emotiva.

Non sussistono le condizioni per strillare al miracolo, ma gli spunti degni d’interesse sono molteplici e raramente riscontrabili in altri lidi.

Quando si trasferisce in una nuova struttura, Nicoline (Carice van HoutenIl Trono di spade, Black Book), una psicologa che si occupa di pazienti con trascorsi violenti, conosce Idris (Marwan KenzariThe Old guard, Seven sisters), un molestatore seriale che ha maltrattato tante donne.

Se, in prima battuta, è l’unica ad opporsi alla sua scarcerazione, in seguito Nicoline comincerà ad avvicinarsi a Idris che, dal canto suo, è ovviamente disposto a sottoscrivere carte false pur di riconquistare la libertà.

Così tra i due s’instaura un sostenuto tiro alla fune dagli esiti quanto mai incerti, tra atteggiamenti stuzzicanti e sospetti insolubili, desideri inconfessabili e paure inestirpabili.

 

 

Carice van Houten, Marwan Kenzari

Instinct (2019): Carice van Houten, Marwan Kenzari

 

 

Esordio alla regia dell’olandese Halina Reijn, che di recente ha fatto parlare di sé grazie a Babygirl, e scritto dall’autrice insieme a Eshter Gerritsen (Nena), Instinct prende il toro per le corna - memore del cinema proposto dal connazionale Paul Verhoeven (vedasi soprattutto Elle e Basic Instinct) - delineando un rapporto impossibile/inammissibile tra un uomo e una donna, tra un criminale incallito e una psicologa rinomata per la sua professionalità, perseguendo un’impalcatura tutta incentrata sul binomio vittima & carnefice quanto mai sdrucciolevole, colmo di slittamenti e di spigoli, di anticorpi messi in crisi e di manipolazioni purulente.

Così, eleggendo a privilegiato il punto di vista femminile, accantona qualsiasi soluzione accomodante e disarciona/asporta il comune/pudico senso della ragione, disquisendo di pulsioni nascoste/represse che vengono a galla con innata prepotenza, con fiammate di passione carnale (almeno un paio sono decisamente esplicite/scatenate/fatali) e osservazioni che traggono in inganno (a volte, l’apparenza si rivela essere forviante/difettosa), per un quadro psicologico assai variabile, limaccioso e provocatorio, che comunque manca di un effettivo/approfondito confronto al tavolo istituzionale (vedi, come apice recente, il terzo episodio di Adolescence).

Ne scaturisce una road map instabile/accidentato, che vede continui rilanci e altrettante contrazioni, con una traiettoria perennemente indecifrabile, in grado di prendere più volte alla sprovvista, tra intuizioni folgoranti, qualche ingenuità (rimane un mistero come sia possibile che tutti i colleghi di Nicoline vedano in Idris un uomo indirizzato sulla strada della redenzione) e anche delle scelte discutibili, per giunta pure gratuite/superflue (vedasi le iterazioni di Nicoline con sua madre).

In ogni caso, buona parte dei crediti maturati vanno direttamente assegnati all’interpretazione senza freni, trascinante e complessa, di Carice van Houten, legata alla regista da un’amicizia di lunga data, un aspetto che ha indubbiamente garantito un’intesa encomiabile tra mente e braccio, visibile a occhio nudo. Dunque, Carice van Houten offre una prova mai doma, tanto intensa quanto sofferta, iridescente e incandescente, impreziosita da un considerevole/disinibito/immarcabile linguaggio del corpo, mentre Marwan Kenzari si guadagna la sua parte di applausi riuscendo a tenerle – per quanto gli sia possibile - testa, configurando con vibrante personalità un personaggio intrattabile e selvatico.

 

 

Carice van Houten, Marwan Kenzari

Instinct (2019): Carice van Houten, Marwan Kenzari

 

 

Alla fine, Instinct cammina - con stoica volontà e ricorrendo qualche volta al piede di porco - sulle uova, rischiando talvolta l’osso del collo e scegliendo una linea di condotta insidiosa e persuasiva, che pone le fondamenta su un’apertura mentale fuori dal comune sentore, che gli consente di manifestare una formidabile forza d’urto e di porre quesiti ruvidi senza finire incastrato nelle solite risposte, semplici e univoche. Rinforzato da una messa in scena oculata/squadrata di Jesper Wolf (Monos – Un gioco da ragazzi, Golda), tra attrazioni irresistibili e resistenze immortali, feritoie insospettabili e upset deflagranti, brividi irrazionali e tormente interiori, ricordando a tutti come l’animo umano sia contraddistinto da una complessità nettamente superiore a quanto siamo oramai abitualmente/ingiustamente disposti ad ammettere/tollerare.

Spiazzante e conflittuale, viscerale e controverso.

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