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The Hole - Il buco

Regia di Tsai Ming-liang vedi scheda film

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La recensione su The Hole - Il buco

di Stefano L
6 stelle

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Girato in ambienti minimalisti, dove vengono profilate le meste sagome di maschere isolate dal mondo esterno e relegate nel loro avernale microcosmo, “The Hole” parla di un Taiwan alle soglie del millennio in preda alla diffusione di una malattia infettiva che sta spazzando via la popolazione. Yang Kuei-mei e Lee Kang-sheng (rispettivamente “la donna” e “l’uomo”, nessun altro nominativo) si rifiutano di raggiungere le zone di quarantena indicate dal governo per sfuggire alla logorante epidemia virale, e decidono di rimanere negli appartamenti del condominio abbandonato nel quale abitano; dopo l’intervento maldestro di un idraulico che avrebbe dovuto sanare le tubature nell’intercapedine delle due case, si forma un’apertura che metterà a disagio la privacy e i nervi degli scalognati inquilini. In principio il foro è il motivo scatenante di tensioni fra gli ammutinati: l’uso dello spray da parte di lei e il tentativo del ragazzo di cementare il pavimento (il quale, chiaramente, finirà per avariare, impiastricciando gli spazi di entrambi), non potranno che mettere in conflitto gli umori, già flebili, dei travagliati domiciliati… Eppure, progressivamente, quel buco diventa una porta d’accesso che consente di concretizzare una sinuosa, bislacca, empatia. Ogni quindici minuti circa, il lasso cronologico si interrompe; si entra in una dimensione surreale, e viene sfoderato il costituente migliore del film: gli spezzoni dei musical estemporanei, contrassegnati da fulgide coreografie e ballerini professionisti in grado di frantumare, con un romanticismo grottesco (benché di forte impatto scenico), il sempre più insopportabile supplizio. I patemi e le numerose traversie raffrontate precedentemente vengono intrise da sagaci lampi di umorismo nero; i campi si allargano e i background si illuminano, mostrando lo “splendido” squallore del contesto, alonato da un’aura sovente ed abbagliante (la cosmesi di Liao Peng-jung è costantemente funzionale a porre convincentemente in contrasto, con nuance insature, i "risguardi" estetici delle aree che circondano i performer). Ciascun marcescente elemento visivo ed acustico (le piogge incessanti, le lacrime, le ombre, i pulpiti stridenti) si carica di sconquassanti significati simbolici; le assurdità relative alla quotidianità urbana ci veicolano verso la speranza, finché non sopraggiungerà l’immancabile, agognata catarsi spirituale. Siamo, pertanto, distanti da un prodotto mainstream: la durata si dilata forse in maniera eccessiva, ed occorre pazienza per “metabolizzare” una narrazione che non lesina momenti di stanca, ma “The Hole” resta uno spettacolo dal fascino singolare.

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