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Dune

Regia di Denis Villeneuve vedi scheda film

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La recensione su Dune

di ilcausticocinefilo
5 stelle

L'Eletto, il viaggio iniziatico, il deserto, i contrasti psico-religiosi... che noia. Non solo sempre la solita storia, ma per di più narrata con un grado di pomposità inaudito. Pesantezza pura. E "Scemolotto" si vede che non sa proprio che pesci pigliare...

 

Spettacolarità mortuaria. Epicità spenta. Magniloquenza vetusta. Grandiosità vuota. Inserire ossimoro/paradosso/eufemismo a piacere… Dune di Villeneuve è cinema, per così dire, esangue, nato già morto – e difatti ben poco rimane dello stesso terminata la visione (anzi, a qualche giorno di distanza già si fatica a portare alla memoria una qualsivoglia scena effettivamente d’impatto).

 

 

scena

Dune (2021): scena

 

 

Per carità, eh, de gustibus. Tuttavia, preme sottolineare come si tratti, essenzialmente, d’un film tronco, irrisolto – e “va beh”, tanto ormai ci si è fatta la tara -; monocorde – e subito va meno “beh”-; pesante – e qui, dunque (infine?), cade il roccolo. Sì, perché Dune davvero non lascia nulla, niente di niente, salvo alcune programmaticamente “maestose” vedute in CGI, che ovviamente non bastano a distinguerlo dalla media dei blockbuster fagocita-incassi di Hollywood. L’aggravante – stavolta – consiste nella pomposità e pretesa profondità con la quale tale “storia” viene narrata. A questo punto, per stare in ambienti desertici, molto meglio Mad Max.

L’opera di Villeneuve, invece, crede di esporre i più fondamentali argomenti, i massimi sistemi, ma ingenera soltanto, in misura si spera involontaria, noia quando non ilarità. Per via di una sceneggiatura neghittosa che tenta, fallendo miseramente, di indurre lo spettatore a sorvolare circa il suo trovarsi in presenza della solita menata sull’Eletto e la sua iniziazione, con annesso sovraccarico di sofismi religiosi via via sempre più invadenti.

 

 

Timothée Chalamet, Zendaya

Dune (2021): Timothée Chalamet, Zendaya

 

 

Una sceneggiatura che produce, in discendere: personaggi monodimensionali (classica sagoma-di-cartone); parentesi oniriche con V.O. “misticheggiante quasi da trailer o pubblicità della Lancome (vedi le innumerevoli visioni di Zendaya/Chani [la quale, tra parentesi, non colpisce propriamente come la più espressiva delle interpreti…]); ecco, recitazione al meglio svogliata (Scemolotto ha un’unica espressione per l’intera durata: lo potremmo soprannominare “L’Imbambolato”, altroché l’Eletto; Fergusona anche lì spesso passa il tempo a fissare “rapita” il vuoto; Isacco si “prodiga” al minimo sindacale in un altro personaggio-ectoplasma [del genere del Finn dell’orrida trilogia sequel starwarsiana]; Skarsgård rifà le moine del Brando di Apocalypse Now, peccato che il Barone non possegga un millesimo dell’aura e carisma di Kurtz; Momoa e Brolin… “ah, ma ci stanno pure loro?”…); cupezza fine a sé stessa, ampollosità insistita, pseudo-solennità esibita e, last but not least, freddezza esasperante.

 

Ribadiamolo: Dune non trasmette praticamente nulla allo spettatore “non adepto”. A chi – come il sottoscritto – si trovi ad essere a digiuno del materiale d’origine il film di Villenueve appare soltanto l’ennesima interminabile, gonfia, tronfia e sfibrante pseudo-epica da multiplex/centro commerciale. Un film, al meglio, dimenticabile. E pensare che, a sentire certuni, si sarebbe potuto rivelare quasi un trip lisergico, ad osare un pochetto di più (per es. nelle visioni del protagonista). Al contrario, così com’è stato realizzato, è puro standard, cinema codificato hollywoodien alla ricerca – supponiamo – del più grasso incasso possibile.

 

 

Zendaya

Dune (2021): Zendaya

 

 

E, di nuovo, non sarà (forse) colpa di Herbert e del suo romanzo ma, davvero, vista nel 2021, la trama – per ora – è quanto di più scontato e banale ci si possa immaginare. E via di messianismo e guerre sante e poteri sovrannaturali ed eletti e dei discesi in terra e bla bla bla. Senza contare che suona più come materiale da fantasy che non da fantascienza, il risultato che produce, inevitabilmente, è un polpettone gravoso come un macigno e difficilmente digeribile.

Anche perché si riesce sempre a capire dove andrà a parare la storia (e, tra l’altro, v’è una tendenza al didascalismo che evidentemente ritiene gli spettatori minorati mentali, visto che spiega troppo a parole [Firmano l’accordo… So, it’s done” | “Yes, it’s done”… ma dai, non mi dire, mica l’ho appena visto?!]).

 

Che il bello debba ancora venire? Insomma… Se anche il prosieguo dovesse rivelarsi sì anodino e amorfo, ammesso pure riuscisse ad introiettare maggior sostanza narrativa, rischierebbe di risultare un fallimento pari a questo primo capitolo, nel corso del quale non si arriva mai a parteggiare per un personaggio che sia uno; si susseguono scontri e morti che lasciano del tutto indifferenti; si inanellano battute fiacche e meramente espositive; si ricorre un po’ troppo alla frastornante e tonitruante colonna sonora di Zimmer (forse la sua peggiore insieme alla perla “trafora-timpani” di Dunkirk); s’insiste e persiste nel giocare con la CGI nonostante l’unica immagine vagamente da ricordare risulti essere quella del “vermone” riemerso.

In conclusione, Dune è alquanto blando, insipido, statico, come un quadro tecnicamente eccellente, pieno di dettagli e preziosismi, che però, a differenza della vera arte, non riesca a trasmettere alcunché. Too bad.

 

 

Timothée Chalamet

Dune (2021): Timothée Chalamet

 

Quando si riflette strenuamente circa l'esistenza e tutto quanto...

 

 

 

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