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Santa Maud

Regia di Rose Glass vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Santa Maud

di mck
8 stelle

La conversa di Scarborough. (I saw the light. It's fire.)

 

 

Pregate con me: 1, 2, 3, 4, 5 ,6 ,7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 ,15, 16, 17, 18, 19, 20 ,21, 22, 23 e 24.

 

Ventiquattro fotogrammi: un’epifania.

 

Il 25° è composto dalla stessa materia che divide quei 24 frame uno dell’altro: il nero.

 

Poi: il titolo, in bianco.

 


Ha combinato qualcosa (massaggio cardio-polmonare in presenza di osteoporosi…), la giovane Maud [Morfydd Clark, gallese - e “infatti”, grazie a una “intuizione” della regista, Dio “le” parla (e la voce è quella della stessa attrice, rallentata/mascolinizzata) proprio in quella sua lingua madre, e non inglese, in latino o in aramaico - di origini svedesi, classe 1989: Sister Clara in “His Dark Materials ” e futura Galadriel in “the Lord of the Ring - la Serie”], durante un’emergenza verificatasi quand’era di turno nell’ospedale di una cittadina costiera nel nord dell’Inghilterra (il set, dal lungomare alla villa in collina, è Scarborough nel North Yorkshire), e ora, scambiate le orgasmiche caldane per interventi divini e convertitasi come via di fuga dalla realtà al cristianesimo, seguita dai servizi sociali e di collocamento, lavora, sempre come infermiera, per un’agenzia privata, che la manda in domiciliazione nel buen retiro di Amanda Kohl (Jennifer Ehle: “Zero Dark Thirty”, “Vox Lux”, “the Wolf Hour”), coreografa e ballerina cinquantenne malata terminale di tumore (un linfoma al quarto stadio che ha raggiunto il midollo spinale). Conosciutala (sarà lei, inoltre, a regalarle una prima edizione della biografia illustrata su William Blake pubblicata da Morton D. Paley per i tipi di Phaidon nel 1978: e la presenza del poeta, pittore e incisore londinese di fine XVIII e inizio XIX secolo, più che esplicita, andrà ad assumere durante tutto il corso del film connotati tautologici e ridondanti, ma pertinentissimi e - incarnandone l'iconografia - scatenanti ulteriore senso), per non sprecare tutto quel dolore (azione che, oltre a costituire un’amara consolazione, essendo né un lenimento né una cura, potrebbe per l’appunto aver contribuito all’ulteriore ed irreversibile deriva), assume su di sé l’aleatorio compito di redimerla.

 

 

Le musiche di Adam Janota Bzowski aiutano quest’opera prima sulla (relativamente) lunga (1h20’!) distanza (dopo un manciata di cortometraggi) di Rose Glass, da lei anche interamente scritta - ma tutto il comparto tecnico-artistico eccelle, dalla fotografia di Ben Fordesman, anch’esso semi-esordiente, al montaggio di Mark Towns (“the Survivalist”), già più navigato, sino al resto del cast: su tutti le brave e belle Lily Frazer e Lily Knight -, ad essere quello che è: un match di boxe danzato per un’ora e un quarto con toccatine leggere e buffetti amicali da ambo le parti che si conclude per knock-out dello spettatore dopo che la regista lo ha portato gradevolmente in giro per il ring a suo piacimento per tutti i suddetti 75’ facendogli credere d’avere di fronte un Ari Aster o una Jennifer Kent qualsiasi o un Aronofsky o un NWR qualunque: no, quei 5 minuti finali si sbarazzano (stornate quindi il pensiero dai giochetti sul vero / non vero di “Hereditary” e dalla sterile accettazione dell’inutile di “Midsommar”, dimenticatev’il remissivo fatalismo depressivo di “Babadook” e la truce rassegnazione alla vendetta di “the Nightingale”, scordatevi gli stanchi titillamenti del Verbo di “Noah” e “Mother” (più consono sarebbe “Black Swan”, ma tant’è) e archiviate l’esangue belluria grandguignolesca di “the Neon Demon” o del “Suspiria” di Guadagnino) di ogni ambiguità e di qualsivoglia compromesso (che non sempre sono il male, basti considerarne l’uso che ne fa Kubrick in “the Shining”, il quale rimane comunque il suo lavoro più irrisolto): questo non è un horror-fantasy, bensì un horror-iperrealista; e a tal proposito, piuttosto, pur se in contrasto con quanto affermato sin’ora, i compagni di viaggio di “Saint Maud” possono senz’altro essere individuati in “Thelma” di Joachim Trier e in “Grave (Raw)” di Julia Ducournau, e, ancor più paradossalmente, si potrebbe trovare una sintonia con il Bruno Dumont di “Hadewijch” o addirittura, da un certo PdV puramente scatenante e narrativo, e non rispetto alla filosofia di arrivo, con “les Anges du Péché” di Bresson e - laicamente - “Persona” di Bergman, sempre che dio o chi per ess*/ess∂ non mi strafulmini… Intanto, più probabilmente, finirò all’inferno per aver utilizzato l’asterisc* e lo/la scev∂ (o la/lo schw*/shew∂) al posto della vocale marcante il genere.

 

 

Il film (prodotto da Film4, B.ritish F.ilm I.nstitute ed Escape Plan, e distribuito da Canal Plus) cerca lo spavento in due sole occasioni, e in quelle due sole circostanze lo trova, centrandone in pieno la carica, e sono quelle due sole evenienze cercate, volute, costruite e realizzate ad incorniciare quei 5 minuti finali che, come detto, fanno piazza pulita di ogni elusiva/evasiva equivocità.
La prima è la rappresentazione concreta e fittizia dei sogni lucidi e delle allucinazioni che permeano e tempestano la mente di Maud, ma prima dell’...avvento di quel secondo (nel senso di 24 frame) finale - ovvero il secondo frangente in questione - le possibilità erano ancora tutte aperte: dall’esoterico puro (quello di “the Exorcist”, da subito manifesto, e quelli del già citato “Hereditary” e di “the Witch”, nei quali si risolve nel finale, e sicuramente meglio utilizzato e significante nel film di Robert Eggers).
Insomma: non mi sarei mai immaginato di doverlo dire, ma ecco un’opera cinematografica (che inoltre, volutamente o meno, ma di certo in piena consapevolezza, costituisce - se pur collateralmente - anche uno sberleffo verso ogni elucubrazione mistica, che vengono spazzate via) persino “troppo” scientista (locuzione da intendersi nella sua accezione positiva, l’unica che le riconosco).
Ovviamente no, non lo è, ma di certo trova la sua forza anche e proprio nell’espletazione marchiana di un’evidenza tautologica della realtà tanto quanto alcuni dei lacrimosi misticanti di cui sopra dimostrano tutta la loro debolezza rifugiandosi nella scorciatoia del “dubbio”.

 

 

Per questa Conversa di Scarborough il voto complessivo è * * * ¾ (****), con gli ultimi 5 minuti da ****¼, e pure ****½, suvvia.

 

I saw the light. It's fire.

 

È nata una regista, probabilmente.

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PS.
https://www.nurse24.it/studenti/testimonianze-studenti-infermieri/quel-crack-del-mio-primo-massaggio-cardiaco.html 

OT.
Figura da riscoprire, quella di Maria “Maddalena” di Magdala. La mia preferenza terrena però va a un’altra “Maud”...

 

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