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First Cow

Regia di Kelly Reichardt vedi scheda film

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La recensione su First Cow

di maurizio73
6 stelle

Il punto zero di un lento accumularsi di ricchezze che dal ciarpame di monete dimezzate, bottoni strappati e conchiglie tintinnati si protende verso una modernità di sfruttamento delle risorse e la grandezza di un paese che ha sepolto sotto le innumerevoli sedimentazioni della propria storia i piccoli e grandi crimini che l'hanno resa possibile.

Un cuoco timido al seguito di una compagine di rudi di cacciatori diretti all'Ovest , un cinese fuggitivo col pallino dell'impresa ed una mucca solitaria nella fattoria di un possidente inglese sono i tre ingredienti di un dolce sogno di commerci e di fortune nella desolata frontiera americana di inizio '800. Chi trova un amico, si sa, trova un tesoro.

 

locandina

First Cow (2019): locandina

 

Chi trova una mucca...

 

Ennesima variazione sul tema, tratto dal romanzo di Jonathan Raymond e sceneggiato insieme all'autore, del racconto di vite ai margini nel cinema della Reichardt, questa piccola ballata minimalista in chiave western racchiude il senso di una poetica dell'immagine sempre rivolta al rapporto dell'uomo con la natura (di sfruttamento, di mera sussistenza ma anche di rispetto e devozione) ed a quello di quest'ultimo con i propri simili e non meno di quello in balia di una ambivalenza che rincorre il sogno insperato di una felicità che asseconda il conformismo del senso comune (il denaro, una sistemazione, gli agi domestici) , ma anche e soprattutto il valore insostituibile dei legami umani, unico relitto sopravvisuto all'instacabile lavorio del tempo che tutto annienta. Nel significativo intercalare dei piani temporali (nel montaggio della stessa autrice) e nel ricorrente espediente del viaggio come allegoria di un percorso umano di ostinata ricerca di sé, uno sguardo disincantato e poetico sulle piccole (minuscole) vicende della storia americana, con le sue truci bande di cercatori assassini, la cinica contabilità di signorotti feudali in trasferta e l'impotente accondiscendenza delle popolazioni native: il punto zero di un lento accumularsi di ricchezze che dal ciarpame di monete dimezzate, bottoni strappati e conchiglie tintinnati si protende verso una modernità di inesorabile sfruttamento delle risorse naturali e la grandezza di un paese che ha sepolto sotto le innumerevoli sedimentazioni della propria storia i piccoli e grandi crimini che l'hanno resa possibile. Ma se la storia collettiva è anche la somma di vicende individuali, ci dice la Reichardt, allora da quel passato le Wendy&Lucy di turno (ennesima riproposizione di una inevitabile emarginazione itinerante attenta alle piccole cose) potranno disseppellire quelle di una vicinanza umana che il tempo non ha potuto cancellare, il simbolo di una archeologia dei sentimenti per cui la condivisione delle proprie ricchezze o abilità (pragmatismo confuciano e maestria artigianale) è stato lo strumento attraverso cui cementare il senso dell'esistenza piuttosto che l'egoistico mezzo di un facile arricchimento materiale; e forse questo è il metro migliore su cui misurare lo spirito di un popolo che ha riconquistato a caro prezzo un intero continente.
Più nomination (compresa quello all'Orso d'oro alla Berlinale 2020) che premi per un film che, spiace constatarlo, ha avuto una distribuzione limitata nelle sale americane.

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