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Hammamet

Regia di Gianni Amelio vedi scheda film

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La recensione su Hammamet

di champagne1
4 stelle

La figura di Bettino Craxi è la prima della recente storia repubblicana a fungere da elemento profondamente divisivo nell'opinione pubblica: c'era chi lo amava e chi lo odiava; chi lo apprezzava per il decisionismo e il modernismo riformatore e chi lo accusava di tradire le origini e la storia socialista. Poi arrivò anche Mani Pulite, dalla storia di Mario Chiesa “piccolo mariuolo” all'esplosione di uno dei più grandi bubboni sulla corruzione degli apparati pubblici fino alle monetine lanciate davanti all'hotel Raphael in cui preferibilmente abitava quando era a Roma...

 

 

Può un film sugli ultimi mesi di Craxi non essere un film politico? Se partiamo dall'idea che tutto quello che facciamo “è” politico, la cosa diventa difficile.

Amelio cerca di presentare il Presidente (come si chiama nel film) come un personaggio in esilio, pieno di ragioni per credere di essere vittima di un complotto ai suoi danni e sufficientemente pieno di sé da non ammettere la benché minima auto-critica, al grido “lo facevano tutti...”.

La coscienza critica è affidata a un personaggio altro, il giovane Fausto, figlio di un dirigente di Partito suicidatosi a causa dello scandalo, che si incarica di recapitare a C. una lettera scritta dal padre e di procedere ad una personale vendetta.

Ma anche Fausto alla fine si innamora del personaggio austero ed orgoglioso ed empatizza con la sua sofferenza fisica e psicologica.

 

 

Il problema è che la trama si sviluppa in maniera lenta e farraginosa (sceneggiatura dello stesso Amelio con Taraglio), rimanendo a metà fra ricostruzione storica (partendo dall'apogeo rappresentato dal Congresso di Milano del '90, quando Craxi fu rieletto segretario con percentuali bulgare e attirava sul suo carro di vincitore tutti i più disparati soggetti) e interpretazione autoriale (il piano-sequenza dei quattro bambini che corrono verso la villa tunisina o l'incontro con un misterioso politico interpretato da Renato Carpentieri, per esempio), ma senza quello spunto che faccia fare il salto di qualità definitivo. Se Favino è un monumentale “Tale e Quale”, per il resto si ha l'impressione che il Regista abbia puntato molto sul personaggio di Fausto, a cui però non dà il sufficiente spessore, compreso il suo esito finale, per diventare il fattore di un giudizio per lo meno storico (non dico politico) su una vicenda che ha messo le basi per l'avvento di un certo modo di far politica, personalistica e populistica, come ben ci si è accorti negli anni a venire.

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