Regia di Emma Dante vedi scheda film
Molto liberamente tratto dal suo omonimo lavoro teatrale, il secondo film della regista è un dramma familiare meno sanguigno rispetto al solito tono dell’autrice, che anche stavolta firma la sceneggiatura con Giorgio Vasta.
Riducendo il numero originale delle figure femminili da 7 a 5, l’adattamento diventa di fatto un cripto-remake di Piccole donne che vivono in una mansarda adibita a colombaia (la folta presenza dei volatili richiama in modo irresistibile ma scontato l’hitchcockiano The Birds), colte à la sauvette nell’ultimo giorno di genuina felicità su questa terra (in base a una facile allusione filmica, quasi certamente estate 1986).
Tra ricordi, accuse e sensi di colpa, si assiste al mesto e miserabile fluire degli eventi, conseguenza della perdita dei sogni di gioventù (il ballo, la letteratura) dovuta a un tragico incidente.
Tuttavia la scansione dei tre atti è diseguale, per durata (il primo blocco risulta più organico; i successivi sono alquanto meccanici), scelte musicali (l’usurata prima Gymnopédie di Satie; Inverno di De André nella versione di Battiato) e stilistiche (ellissi di comodo, in almeno un caso addirittura irritante per sbrigatività), inficiando quella che voleva essere una struggente elegia degli ultimi.
Più Due partite di Cristina Comencini che Anton Cechov.
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