Regia di Ari Aster vedi scheda film
Declinazione il salsa svedese del gotico settario rurale. Aster ripesca gli stilemi di un genere in perenne agonia e mai del tutto trapassato, che si snodano con alterne fortune da Wicker Man a Children of the Corn, aggiunge sale e pepe per palati cresciuti a James Wan e Mike Flanagan (in realtà quanto basta, le soluzioni visive sono in genere più ricercate) e dipinge bene affreschi che sanno realmente di Svezia.
Tocca sobbarcarsi il peso di un incipit poco brillante e di una banalità tipicamente statunitense, la conosciamo tutti, fatta salva la caratterizzazione della giovane protagonista Dani, che infatti si dimostrerà all'altezza del ruolo (merito di un'intensa Florence Pugh).
Una manciata di antropologi e un'aspirante psicologa alla scoperta dei riti di mezza estate di un'inquietante comunità-culto isolata tra le montagne scandinave, c'è poco altro ma manca il disco volante nel fienile.
La forza residua, ed è più che sufficiente, del film risiede nella critica autocompiaciuta che assale a muso duro il neo-femminismo di costume con tutti i cavalli di battaglia annessi, in primis la società matriarcale e la struttura alveare. Finalmente un po' di fegato, è proprio il caso di dirlo. Il capovolgimento dell'idillio naturale è roba vecchia ma qui è messo in immagini più che in dialoghi, il risultato è notevole. Menzione d'onore alla fotografia lisergica di Pogorzelski, costumi e ambientazioni contribuiscono. Antagonisti ben recitati, i comprimari, invece, lasciano il tempo che trovano.
In chiusura -si spera!- della stagione dei jump-scare, abbiamo l'ennesima dimostrazione che l'orrore dosato con il contagocce penetra a fondo. Qui però ce n'è davvero poco e ci si chiede se ci sia, tutto sommato, la stoffa del nuovo classico.
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