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Midsommar - Il villaggio dei dannati

Regia di Ari Aster vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Midsommar - Il villaggio dei dannati

di alan smithee
5 stelle

Dani è una bella ragazza che sta vivendo il trauma devastante che fa seguito alla morte di entrambi i genitori per opera della folle sorella sofferente di incontrollabili manie persecutorie e disturbi bipolari.

Mentre il suo rapporto col fidanzato sta per collassare come ogni altro aspetto della vita della giovane, la proposta di un amico di origine svedese del suo uomo di partecipare ad un viaggio nei suoi territori d'origine, fa sì che anche la giovane si unisca al gruppo.

Il programma del gruppo è quello di partecipare ad una tradizionale festa di mezza estate, nei pressi della comunità legata all'osservanza di una tradizione risalente ai tempi più remoti. Comunità dalla quale proviene il loro amico, e che si rivelerà poco per volta come una trappola mortale senza via d'uscita, in grado di aprirsi nelle sue singolari tradizioni popolari verso le menti poco concilianti del gruppo di invitati, desinati per questo a divenire, uno dopo l'altro, dei meri strumenti ad uso e consumo delle esigenze oscure e deviate di quella apparentemente pacifica e ispirata comunità di paesani.

Era logico disporsi verso grandi aspettative nei confronti dell'opera seconda del regista del fosco e sadico Hereditary, esordio assai convincente nel lungometraggio da parte del regista statunitense Ari Aster.

Che qui ci introduce in un tunnel convincente e sin attanagliante per almeno tutta la prima ora del film, stordendoci con un incipit in grado di scuoterci come vittime di uno schiaffo ben assestato, efficace e utile a farci entrare con coerenza nell'atmosfera cupa ed apparentemente senza uscita entro cui è precipitata la nostra povera protagonista.

Aster gira assai bene, ma si perde - quasi ipnotizzato e senza senso della misura - tra i riti ancestrali ed eretici di una comunità che, nella sua purezza, ha perso completamente il senso della misura e dei limiti, in nome di un bene assoluto che finisce per accostarsi impudicamente e senza distinzione di sorta, al male più puro e fine a se stesso, quello che consente alla belva di pensare solo alla propria incolumità, a scapito di ogni altra posizione antagonista od alternativa.

La vicenda inoltre, sin troppo affastellata di riti sviscerati oltre ogni senso della misura, oltrevalica i limiti prudenzialmente compatibili con il genere horror a cui comunque l'opera tende o entro il cui  genere ambisce mantenersi, pur tentando di nobilitarlo con un tocco d'autore certamente percepibile.

La storia pare certo rivitalizzata da in interessante, scandagliato studio sui volti (le teste sappiamo bene già dai tempi del controverso Hereditary quanto interessino al cinesta!), che alternano le fattezze simmetriche di una bellezza indiscutibile di cui è portatrice la nostra protagonista (la interpreta quell'astro nascente che è oggi Florence Pugh), ad altre più sui generis, ad altre ancora rese deformi dalle sconcertanti, drammatiche circostanze narrative che accorrono a dare una crudele sferzata alla storia.

A Midsommar insomma, alla fine dei conti, si riconosce un lodevole e coraggioso tentativo approccio in grado di inserire l'opera nella ipotetica sezione più ambiziosa ed autoriale dedicata al genere (anche solo rispetto alla generale pochezza degli abituali horror che giungono in sala, questo si Aster è un film decisamente sopra la media, per originalità e livello qualitativo).

Valida anche la descrizione un po' meschina, un po' torva, dei singoli personaggi che popolano la vicenda, a partire dalla sconvolta coppia protagonista, in cui la parte maschile (ottimamente resa dal valido Jack Reynor) si ritrova a farsi debito di tutta una propria laidezza di intenti e di fini, pur di ottenere il giusto compenso in grado di trarre vantaggio da un'esperienza in grado, nella migliore delle ipotesi, di condizionarlo per tutto il resto dell'esistenza.

Valido anche il risalto luciferino che l'atmosfera falsamente pacifica sa conferire, poco per volta, a quell'illusorio paradiso bucolico che nasconde efferatezze inaudite e per fortuna inconcepibili ai più.

Ma l'ipotesi che stavolta il regista - che ostenta nudi integrali con serena disinvoltura, e placidi atti di violenza efferata peraltro tutto fuorché non percepibili all'interno della sadica processione un po' estenuante in cui ci obbliga a partecipare pagando il solo prezzo del biglietto - l'abbia, per così dire un po' volgarmente, "fatta fuori dal vaso", appare a conti fatti una eventualità verosimile, anzi quasi palese.

La costruzione narrativa risulta vittima di una eccessiva schematicità di fondo, che dipende probabilmente, a sua volta, da una volontà ossessiva e alla lunga sin logorroica, di osservare una tesi un po' rigida che da un lato crea le basi per una giusta, coinvolgente insolita atmosfera da setta deviata, ma dall'altro toglie molto dell'entusiasmo che era lecito già dal manifesto e dalla prima mezz'ora, aspettarsi dalla singolare opera seconda di Aster.      

 

 

 

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