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Pelican Blood

Regia di Katrin Gebbe vedi scheda film

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La recensione su Pelican Blood

di supadany
5 stelle

Venezia 76 – Orizzonti.

I cuori puri spronati dall'amore non retrocedono dinanzi a nessuna sfida. Per loro, non esistono ostacoli insormontabili, anche quando la ragione spingerebbe a ritornare sui propri passi e alzare bandiera bianca. Certo, lo sconforto può instillare più di un dubbio e la resa profilarsi all'orizzonte, ma anche una minima scintilla, nella forma di un breve e illusorio squarcio di speranza, distilla un ulteriore slancio da agguantare al volo, senza fermarsi a riflettere.
Wiebke (Nina Hoss) è una donna single, che divide equamente le attenzioni tra il suo lavoro da addestratrice di cavalli e Nicolina (Adelina-Constance Ocleppo), la figlia che ha adottato. Nonostante gli impegni quotidiani, decide di accogliere in famiglia anche Raya (Katerina Lipovska), una bambina di soli cinque anni con alle spalle un passato travagliato, riscontrabile in gravi problemi nelle relazioni quotidiane.
Nel giro di pochi giorni, Raya manifesterà le prime reazioni violente, destinate a crescere in maniera vertiginosa, al punto di obbligare Wiebke a prendere in considerazione delle decisioni drastiche.

 

Nina Hoss, Katerina Lipovska

Pelican Blood (2019): Nina Hoss, Katerina Lipovska


C'è chi getta la spugna al primo campanello di allarme e chi non si perde d'animo, perseverando nonostante tutte le spie del fallimento siano in stato di allerta.
La regista tedesca classe '83 Katrin Gebbe - già nella sezione Un certain Regard a Cannes nel 2013 con il precedente Nothing bad can happen - focalizza questa sua opera su una donna indipendente, dalla forza d'animo incrollabile, un personaggio tenace, cementificato dalla tempra di Nina Hoss (meravigliosa al servizio di Christian Petzold in Yella, La scelta di Barbara e Il segreto del suo volto). La sua Wiebke è protagonista di un'odissea drammatica, con l'aggiunta di suggestioni attinte dalla sorgente del cinema horror. Fin quando permane un dubbio sull'effettiva realtà del problema che attanaglia la piccola Raya, la pellicola regge, creando anche un discreto stato d’inquietudine. Al contrario, quando si lascia andare - tra fantomatiche presenze maligne, possessioni e rituali ancestrali - finisce invischiata in un ginepraio, peraltro senza godere appieno dei sapori che l'abbondanza degli ingredienti apportati farebbe intendere.
Dunque, anche le potenzialità - un paesaggio recondito, il nido materno e un lato psicologico che fino a un certo punto dà i suoi frutti - e gli aspetti disturbanti, alternati a episodici tratti beneauguranti, finiscono per cedere il passo, allentando la morsa sotto il tiro di scelte quanto mai audaci e pericolanti.
Indubbiamente, in buona parte è il frutto di un eccesso di generosità, rimane comunque tutt'altro che consequenziale rimanergli fedeli, accettandone le dinamiche avvolti dallo sgomento.
Chi troppo vuole, nulla (o poco) stringe.

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