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I miserabili

Regia di Ladj Ly vedi scheda film

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La recensione su I miserabili

di EightAndHalf
5 stelle

Ladj Ly, regista francese originario del Mali, esordisce al lungometraggio in concorso al 72esimo Festival di Cannes con un thriller drammatico che si ambienta nella periferia di Parigi, tra edifici decadenti e esseri umani altrettanto decadenti. Con una disillusione e un tocco che cercano di distinguersi e di darsi un tono con delle carrellate fluide e costantemente in movimento - alternate alle classiche camere a mano del più abusato Cinéma Verité - Ladj Ly inquadra una situazione, presenta dei personaggi e comincia a fare scricchiolare il loro già precario equilibrio con un evento quanto mai particolare: il rapimento di un leoncino da parte di un bambino. Il vero problema è che non tutto sembra interessargli allo stesso modo: un altro bambino, in possesso di un drone di cui vediamo spesso le immagini esploranti il quartiere dall'alto (sequenze sempre troppo brevi, sempre interrotte troppo presto), viene mostrato in alcuni momenti iniziali e poi abbandonato per ripescarlo all'occorrenza, benché lasciasse intendere sviluppi anche solo caratteriali molto più approfonditi; il quartiere, del tutto ricolmo di mini-comunità pronte ad aiutarsi vicendevolmente ma spesso scosso dalle scorribande di una polizia piuttosto aggressiva, è un contesto al servizio di una trama fiction che è sempre lì lì per scordarsi il contesto stesso, o per darlo per scontato, lasciando che ricopra il ruolo di sfondo per giustificare i comportamenti dei personaggi; gli stessi personaggi, apparentemente ambigui e dalle tante sfaccettature, finiscono per essere presto facilmente classificabili, non tanto nelle fazioni buoni e cattivi ma soprattutto nelle intenzioni e nelle ambizioni, che o rimangono sempre le stesse, incapaci di problematizzarsi o di mettersi in discussione, o cambiano da così a così, senza un filo conduttore o una trama intermedia - vedasi la svolta finale del bambino-rapitore, efficace e un po' ridicola allo stesso tempo.

Questo costante "fermarsi prima", questo rallentamento in certi momenti clou, sono tutti fattori frustranti un soggetto che poteva avere potenzialità decisamente più alte, immersive, capaci di alleggerire l'enfasi della trama e disperdersi maggiormente in un mondo che non viviamo mai, ma che vediamo solo raccontato; un mondo ad altezza di bambino ma scombussolato dalle prospettive adulte, sempre troppo invadenti e poco comprensive. Ed è sicuramente la mancata empatia a scoraggiare questa stessa operazione da parte di uno spettatore che rimane distante, rimane fuori. 

Qualcosa si smuove solo nella guerriglia finale, in cui gli spazi stretti e gli eventi più esplosivi sanno inchiodare alla poltrona per una decina di minuti adrenalinici, allucinati e splendidamente caotici. Salvo poi chiudersi con un "triangolo" dalle fattezze fatalistiche un po' troppo drammatiche, che sono forse troppo fiction per dire qualcosa di vero, o sono semplicemente troppo poco interessanti. 

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