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Fabiana

Regia di Brunna Laboissière vedi scheda film

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La recensione su Fabiana

di OGM
7 stelle

Fabiana è un uomo. Fa un lavoro da uomini. Eppure è una donna. Che ama le donne, in tutta la loro "varietà".

Il mondo in una mano. È così angusta la cabina di un camion: la realtà, inquadrata attraverso il finestrino, è un minuto ritaglio di universo che si coglie con la coda dell’occhio, e in un attimo sfugge. Allo stesso modo le parole, che arrivano attraverso la radio o il cellulare, sono solo suoni passeggeri, eppure in grado di evocare le gioie e i dolori di un’esistenza intera, con gli amori perduti per sempre, o quelli ritrovati eppure così lontani. Tutto può trovare spazio dentro un guscio ristretto come il corpo di Fabiana: un fisico minuto, che, dopo aver espulso la propria mascolinità, non ha voluto imbottirsi delle forme generose delle donne brasiliane. Fabiana è un fascio di ossa, nervi e pelle bruciata dal sole. Un cinquantaseienne dal volto asciutto e scavato, ma ravvivato dalla perenne freschezza di un sorriso innocente. Ha l’espressione di chi, tuffandosi nel fango, è certo di uscirne pulito, magari solo un po’ più ricco di storie buffe da raccontare. Il sesso, sregolato e ambiguo, è il suo modo infantile, libero da pregiudizi, di conoscere la gente, di esplorare il mondo. Fabiana ha amato, ha generato, è stata lasciata, è stata scelta e sottratta a forza alla sua solitudine, come in un lungo gioco sereno, un tira e molla che produce calore e non fa male a nessuno, perché è animato da intenzioni serie e sincere, rispettose e sensibili. Ogni frivolezza ha la sua importanza, contiene una morale. Quando racconta, quell’autotrasportatore con la gonna e le unghie laccate, dispensa la primitiva di saggezza di chi vede in ogni incontro l’occasione per scoprire qualcosa di sé. La vanità di esibirsi è solo la variante adulterata della graziosa allegria con cui un’anima semplice si offre all’attenzione del pubblico: la videocamera di Brunna lo riprende, lo interroga, e lui si mostra e risponde, con il contegno gentile di chi si premurosamente si presta a soddisfare l’altrui curiosità. Non c’è angolo di memoria, nemmeno il più intimo, che non possa essere illuminato a comando, riaccendendo in un lampo i colori di una vecchia favola, bella o brutta che sia. L’involucro duro racchiude un museo di grottesche meraviglie, e non ci vuole niente ad aprirlo. È una piccola emozione vederlo socchiudersi, riversando intorno a sé la sua esile e variopinta scia di ruspanti fantasmagorie, di piccanti storielle di strade ed aree di sosta, di compagni di fortuna, di casualità che segnano il destino. Sta tutto dentro una manciata di immagini in formato cartolina, di quelle che si portano dietro attaccate al cruscotto, appese al parabrezza, prossime al cuore. Invecchiano con noi, mentre guidiamo. Si consumano, mentre le guardiamo. Ma, sotto la patina di tinte falsate, rimangono accese come eterni, vividi sprazzi di luce. I fuochi d’artificio di un Capodanno che ripete ogni volta la solita solfa. Eppure la festa è sempre un’altra, è sempre l’inizio, è sempre uno stravagante nuovo che aspetta.

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