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A Russian Youth

Regia di Alexander Zolotukhin vedi scheda film

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La recensione su A Russian Youth

di mck
9 stelle

“Il marcato dev’essere (Ra) Ta-Ta-Ta!” / “Come fosse il presagio di qualcosa…”

 

 

“Torneranno i Prati” (da sminare con - sempre di Ermanno Olmi - “i Recuperanti”: dalla Campagna di Russia all'Altopiano di Asiago), passando dal Coro della Messa a Requiem che sale dalle Trincee della Prima Guerra Mondiale [la Grande Berta (“Shoulder Arms” di Charles Chaplin) è uno C.M.Schröder in ebano di fine XIX secolo] verso il Dies Irae della Sonata Atomica che sale dall’Epicentro della Seconda Guerra Mondiale (e culmina nella Trenodia per le Vittime di Hiroshima di Krzysztof Penderecki), e da “Spara, Jurij! (spera, spara, spira) a “Suonala ancora, Jurij!”

“Le sgocciolature di stanotte nell’interno del mio baracchino mi hanno demolito quel residuo di forza volitiva che mi rimaneva. Io che mi sono immerso con gioia nelle bufere di neve sull’Adamello, perché esse bufere erano nell’ordine naturale delle cose e io in loro ero al mio posto, io sono atterrito al pensiero che il soffitto del mio abituro sgocciola sulle mie gambe: perché quella porca ruffiana acqua lì è fuor di luogo, non dovrebbe esserci: perché lo scopo del baracchino è appunto quello di ripararmi dalle fucilate e dalla pioggia. Sicché, per non morir nevrastenico, mi do all’apatia.”
Carlo Emilio Gadda - “Giornale di Guerra e di Prigionia” - 21 Luglio 1916

 

Il cinema è un’orchestrazione di arti e mestieri e i primi teatri cinematografici accoglievano proprio un’orchestra in disparte nelle quinte o posizionata nella sua congenita ubicazione nella fossa del golfo mistico durante le proiezioni per accompagnare col ritmo della musica le gesta plastiche degli attori sulla scena illuminante lo stuolo filmico messo a sipario.

 

 

La “Giovinezza Russa” del titolo originale “Malchik (ovvero ragazzo: burgess-kubrick-aclockworkorangesche reminiscenze) Russkiy” [l’ottuso, pervicace, (in)utile, felice (da qui la contrapposizione dicotomicamente ovvia col Gaddus futuro ingegnere in blu), consapevole idiota Alexey (confutazione del Paradigma Vittimario del soldato - contadino, operaio, impiegato, studente - costretto alla guerra: e quindi, ancora, Gadda), interpretato da Vladimir Korolev, che non può fare ritorno a casa, così conciato com’è, prima cieco, poi sordo, per finire col fare il mendicante e pesare sulle spalle della famiglia] è quella che, rispetto all’odierno assetto geo-politico mondiale, sta per prepararsi a vivere l’Impero degli Zar in attesa di disgregarsi (salvo poi riproporsi nell’immantinente - resosi defunto Lenin e reso defunto Trockij - attraverso nuove e per molti versi peggiori declinazioni, come del resto ancora oggi) sotto la spinta rivoluzionaria operaio-bolscevica che di lì a poco porterà alla presa del Palazzo d’Inverno, nel bel mezzo della Prima Guerra Mondiale, la quale a sua volta altro non sarà che la “Prova d’Orchestra”, messa in scena alla Reggia di Versailles, della Seconda: e come maglio felliniano, oppenheimerianamente scisso, eccoli: Little Boy (ah!), all’uranio, e Fat Man, al plutonio (come the Gadget, il predecessore d’entrambe durante il Trinity Test che liberò Morte, ovvero Tempo, l’indifferente sordo-cieco distruttore di Mondi).

In “A Russian Youth”, a un secolo di distanza, i due insiemi di ruoli operanti su linee (spazio)temporali diverse vengono interpretati da due cast attoriali - la compagnia di soldati e la banda orchestrale: due gruppi distinti, ma comunicanti grazie al montaggio, più o meno composti da ragazzi (e, nel secondo caso, anche da ragazze) della medesima giovane età - reclutati dall’autore e compartimentati in maniera stagna, ma immessi in un continuo, se pur irreciproco, flusso dialogico infra-diegetico. 

 


“A rivedere il buio ritorno nella patria per me desolata, e la sua tomba deserta e lontana. La mia vita è inutile, è quella di un automa sopravvissuto a sé stesso, che fa per inerzia alcune cose materiali senza amore né fede.
Lavorerò mediocremente e farò alcune altre bestialità, sarò ancora cattivo per debolezza, ancora egoista per stanchezza, e bruto per abulia, e finirò la mia torbida vita nell’antica e odiosa palude dell’indolenza che ha avvelenato il mio crescere mutando le possibilità dell’azione in vani, sterili sogni.
Non noterò più nulla, poiché nulla di me è degno di ricordo anche davanti a me solo. Finisco così questo libro di note.”
Carlo Emilio Gadda - “Giornale di Guerra e di Prigionia” - 1919, 1955

Con commovente obbligazione alla mente tornano, per la sostanza trattata, “Oh, Uomo!”, “Prigionieri della Guerra (1914-1918)”, “Su Tutte le Vette è Pace” e “Ghiro Ghiro Tondo” di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, da una parte, e l’altrettanto seminale e imprescindibile “Va’ e Vedi” (“Idi i Smotri”) di Elem Klimov (passando dalla WW1 alla WW2), dall’altra, e, per lo stile fotografico, la poetica pittorica di Andrej Tarkovskij, ma ad essere accreditato - oltre e più che dai titoli di coda - dal dato di fatto contenutistico-formale come produttore artistico è Aleksandr Sokurov (che del regista di “L’Infanzia di Ivan”, “Andrej Rublëv” e “Stalker” ne è il naturale successore), nume tutelare dell’opera e dell’autore stesso, Alexander Zolotukhin, classe 1988 (un anno dopo saranno glasnost e perestrojka a sfondare muri e cortine: “Journey to Russia” e “A Propos de Nos Voyages en Russie”, sempre di Gianikian e Ricci Lucchi), di origini ucraine, qui alla prova dell’opera prima dopo due cortometraggi, uno in solitaria, “Life Story of My Friend”, e un altro come segmento di un’opera collettiva, “Neighbors”.

 


Fotografia (4:3) di Ayrat Yamilov (verso la fine, come pure altrove, un frammento di pellicola appare graffiato dal tempo: in realtà è un intervento fisico e volontario à la Stan Brakhage). Montaggio: Tatyana Kuzmichyova. Scenografie: Elena Zhukova. Costumi: Olga Bahareva. Trucco: Kseniya Malkina. Suono: Andrey Fonin.
Musiche preesistenti tratte dal catalogo di Sergej Vasil'evic Rachmaninoff (composizioni rispettivamente - un concerto per piano dall’aspra e precisa dissonanza dei passaggi e accordi armonici e, fra le sue ultime opere, una danza sinfonica - date alla luce all’alba del secolo breve, prim’ancora che iniziasse il suo percorso, con lo scoppio della WW1, e a WW2 - che del secolo breve n’è il cuore - già scoccata, se pur da poco), che alla Rivoluzione preferì l’America, dirette da Mikhail Golikov. Commistione di effetti speciali artigianali (in stile herzoghiano) e CGI.


“La mia idea era di andare all'ultima guerra del Risorgimento italiano alla quale non potevo mancare. Il trauma emotivo del sacrificio creava un certo orgoglio in noi giovani, alimentando quel senso di coscienza virile per il quale pareva essenziale poter dire: io c'ero. […] Il tempo è trascorso in un ribollire. Con quello che è accaduto dopo, lo sterminio degli ebrei, i campi di eliminazione, la bomba atomica, dovrei dire che la guerra del '15 non lascia traccia nella storia del mondo.”
Carlo Emilio Gadda, da un’intervista - la Sfilata del Disprezzo - del 1968 di Corrado Stajano per il Corriere della Sera a proposito del «Giornale di Guerra e di Prigionia, 1915-1919, con il “Diario di Caporetto”, 1917» (Sansoni, 1955 / Einaudi, 1965 / Garzanti, 1999).

 


“Il marcato dev’essere (Ra) Ta-Ta-Ta!” / “Come fosse il presagio di qualcosa…”

* * * * ¼ - 8 ½        

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