Regia di Marco Ferreri vedi scheda film
L'opera di Marco Ferreri rimane, fino agli anni 70, una delle più incisive del cinema europeo, una delle più provocatorie e anticonformiste, delle più disperate e penetranti. Quando girò "L'ultima donna" Ferreri lavorava soprattutto in Francia, dove aveva realizzato il suo più grande successo di scandalo "La grande abbuffata", e dove ambientò, alla periferia di Parigi, questo ennesimo racconto di alienazione e malessere nella coppia, con un protagonista maschile che vuole perpetrare inutilmente i privilegi dell'uomo nei confronti della donna, che in quel periodo ispirava Ferreri ben più del maschio (anche se altrove il regista milanese non aveva mancato di dipingerla in una prospettiva più negativa, soprattutto nell'Ape regina, in Dillinger è morto e in La cagna).
Gerard Depardieu è Gerard, un ingegnere con figlio a carico che si ritrova improvvisamente disoccupato e si imbatte in un'attraente maestra di asilo che si affeziona al bambino ma, dopo un po', si stanca delle sue stramberie e della sua eccessiva smania di possesso. Il film è giocato quasi interamente sul rapporto fra i due, con il bambino come muto testimone, è quasi completamente ambientato in un appartamento e, se dobbiamo essere sinceri, dà un'impressione di trascinarsi, di eccessiva dilatazione dei tempi narrativi, con lunghe scene che saranno anche rivelatrici dei caratteri a livello psicologico, ma dove spesso si ripete lo stesso schema fino ad ingenerare una certa stanchezza.
Tuttavia, ad onore del vero la sceneggiatura di Ferreri, Azcona e Matelli è piena di notazioni acute, pungenti sui personaggi, delineati con ricchezza di sfumature, lui nella sua immaturità e sostanziale boria di borghese presuntuoso, lei come giovane donna dolce ma ambivalente di fronte alla scelta fra un rapporto più edonistico e uno più strutturato secondo le convenzioni assodate. Ferreri si affida moltissimo ad un giovane Gerard Depardieu, candidato per questa prova al Cesar, la cui strabordante fisicità (e ricorrente nudità) invade lo schermo, un Depardieu che rende con bravura mimetica le fissazioni del personaggio, la sua logorrea asfissiante, la tenerezza per il bambino, la possessività per la donna che sfocia nell'aggressività e nella violenza autoinflitta nel gesto finale.
Ornella Muti è giovane e fresca, ha il physique du role necessario, sfoggia una nudità ammaliante ma meno insistita di quella di Depardieu, se la cava abbastanza bene nel caratterizzare Valeria come donna in divenire, attirata dalle sirene del femminismo ma nel complesso lucida, concreta. Michel Piccoli fa una breve partecipazione, insieme a Renato Salvatori e Zouzou fra i comprimari, ma a tratti si ha l'impressione che i dialoghi siano un po' tirati via rispetto a quelli dei migliori film dell'autore; la fotografia di Luciano Tovoli gioca su delle palettes molto ordinarie e prive di glamour (si direbbe qui l'opposto degli sfavillanti cromatismi di "Suspiria"), le musiche di Philippe Sarde hanno un sapore quasi mortuario che ricorda quelle de "La grande abbuffata", ma che a tratti riciclano anche il tema principale de "La cagna". Nel complesso un film un po' irrisolto, non fra le opere più memorabili dell'autore che sposa come al solito le sue tesi oltranziste, ma riesce a comporre un ritratto abbastanza veritiero delle tensioni all'interno della coppia e dei nuovi equilibri familiari in una società in rapido mutamento, anche se il colpo di scena finale è un pugno nello stomaco un po' fine a se stesso e non mancano alcune concessioni ad una provocazione piuttosto sterile.
Voto 7/10
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