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Una colt in pugno al diavolo

Regia di Sergio Bergonzelli vedi scheda film

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La recensione su Una colt in pugno al diavolo

di scapigliato
8 stelle

Girato in Sardegna. Un incipit bellissimo: polvere, deserto, sole, un massacro e un bimbo nudo che piange sui cadaveri della carovana. A seguire, degli straordinari titoli di testa. Questo è il biglietto da visita del quarto ed ultimo western di Sergio Bergonzelli che voleva ripetere il successo di “Uno Straniero a Sacramento”. Il risultato è stato invece diverso: “Uno Straniero...” guadagna molto con pochi soldi impegnati, ma non diventa un cult; “Una Colt...” guadagna la metà nonostante un impiego maggiore di soldi, ma diventa un classico del nostro western fuoricasa. La storia infatti è tra le più semplici, ma l’arricchimento visivo e simbolico che il regista e chi di dovere fa, è efficace e incsivo nel gioco immaginifico dello spagowestern. Si ripete il motivo, ma anche grande tema tra i temi narrativi, dell’infiltrato che stringe amicizia con l’uomo che deve eliminare. L’eroe buono e il cattivo di turno che si avvicinano insospettabilmente e imprevedibilmente, cambiando le carte in tavola e spiazzando lo spettatore. Che Bob Henry, attore inglese di non grandi meriti, benchè biondino alla Peter Lee Lawrence ed esplicitamente queer, vesta gli insoliti panni (camicia sbottonata e maniche rimborsate) di un pistolero fashion, poco ci importa. Chi ci interessa davvero, da un punto di vista critico ed oggettivo, è invece George Wang, l’incontenibile cino-romano che ha prestato il suo carattere rustico e potente a ben 12 spagowestern. É lui il personggio che ci piace vedere all’opera, affiancato da un pelatissimo Luciano Catenacci, oppure solo soletto. É lui che insiste sulla tradizione delle bizzarrie italiane, lui cinese che fa il messicano in un western italiano ambientato in Sardegna. Va detto però che nonostante tutta l’iconografia e l’apparato semantico legato ai simboli religiosi di Dio e del Diavolo, il film di Bergonzelli non riesce a tenere la testa alta per tutta la sua durata. Molti gli snodi rapidi e incolore, e molti gli sbagli grossolani nel montaggio, che possono essere anche riletti come pratica originale di taglio dell’inutile, ma fatto senza mestiere. Nel complesso è un film che resta impresso nell’immaginario italowestern sia per le felici intuizioni narrative e visive, sia perchè aiuto regista è Aldo Lado, musicista è il mitico Reverberi e a cantare la title track è lo scultissimo Mino Reitano.

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