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La regina di Casetta

Regia di Francesco Fei vedi scheda film

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La recensione su La regina di Casetta

di mck
9 stelle

Che ci siano sempre persone a spalancare gli scuri sulla luce del mattino, in quelle quattro case.

 

2016-‘17. Estate, Autunno, Inverno, Primavera e Ancora Estate.
Una stagionalità montana romagnola (geograficamente) in odor/sentor/sapor di toscana (amministrativamente), e viceversa.

Qui un Tempo eran tutti Prati.” Poi le Persone se ne sono andate, e son tornati gli Alberi.
[Che non è per forza un bene, né per l’Umanità, né per la Natura così come la conosciamo, esattamente nella maniera in cui una consistente nevicata invernale non sta certo a significare che il riscaldamento globale non esista.]

 

locandina

La regina di Casetta (2018): locandina


Mi ritengo un buon “pilota”, potrei percorrere la strada che collega Cannobio a Malesco o quella che sale da FondoToce a Cicogna ad occhi chiusi (no, scherzo, finirei in un burrone al primo tornante, ma la metaforica iperbole quello è e a quello serve), però assumendo il PdV della MdP posta al centro del sedile posteriore dell’automobile che, guidata dalla madre, scivola rotolando le ruote in discesa e, condotta dal padre, s’inerpica scalando marce in salita lungo la carrozzabile asfaltata che da Casetta di Tiara, borgo sorgente ai piedi del monte Cimone della Bastia e sfiorata dal corso del torrente Rovigo che si getta nella creazione di cascate, piscine e anfiteatri naturali nella roccia stratificata, e attraversando più volte il corso del fiume Santerno, porta al comune di Palazzuolo sul Senio (la cui popolazione dall’Unità d’Italia alla Prima Guerra Mondiale crebbe di mille unità, passando da 3.500 a 4.500 residenti, per poi subire lo spopolamento: durante la Seconda Guerra Mondiale il numero è tornato a 3.500, per poi crollare dal dopoguerra passando per il boom e arrivando all’oggi di 1.100 anime), del quale è frazione, da un parte, e a Fiorenzuola, dall’altra, mi son cahato in mano.

 

scena

La regina di Casetta (2018): scena


Granducato - pardon: Unione Montana - dell’Alto Mugello. Spartiacque appenninico tra Firenze (politiche amministrative) e Bologna (versante oro/geo-grafico d’appartenenza). 1000 abitanti sparsi in 100 chilometri quadrati di valli e vallette, creste collinose e pendici montane. Un dialetto tosco-romagnolo per forza di cose via di mezzo fra un italiano profondo, radicato, mitopoietico e riconoscibile e una commista impenetrabilità rurale.


Ha un oedemeride verde smeraldo rimastole impigliato tra i capelli, che s’arrampica sulla biondo-castana coda di cavallo in cerca di un punto da cui spiccare il volo. Ha catturato una lucertola muraiola in un secchio di moplen azzurro. Ha scovato uno scorpione che trova riparo e attende la caccia fra le crepe delle pietre dei muretti a secco e delle mulattiere, all’ombra delle iris in fiore.

 


“Prima o poi i nonni muoiono tutti. Però io non so il perché, dalla morte della mia mia nonna ho sofferto tantissimo. Cioè, mi è passata pochi anni fa. Quindi adesso… anche per quello io dicevo che volevo rimanere qui, perché pensavo che qui ci fosse lei. E invece ora… è morta.”

Gregoria Giorgi, 14 anni e unica minorenne nel minuscolo paesino abitato da una dozzina di residenti superstiti, adulti e anziani (il piccolo cimitero di campagna, al confronto, è una metropoli), terminate le scuole medie inferiori deve decidere quale istituto superiore frequentare, se il tecnico agrario o il professionale alberghiero, e per adesso aiuta la madre Sonia Livi e il padre Leonardo a gestire il loro ristorante, l’unica attività commerciale del minuto aggregato di dimore in legno e pietra. E poi: ApeCar Piaggio!


Il concetto di “a misura di essere umano”, la densità abitativa di 10 persone per km², è esplicitato da un cartello inq.to in campo medio (“Proprietà Privata - È Vietato Raccogliere Castagne, Funghi ed Altri Prodotti Agresti”) traslato poi dalle e nelle parole della stessa protagonista, quando racconta di non avere solo una stanza o una casa tutta per sé, ma un intero villaggio ed ecosistema, per quanto spopolato e rinselvatichito.

 


Francesco Fei, qui - anche soggettista/sceneggiatore, direttore della fotografia e operatore alla macchina - alla sua opera terza (intervista al regista da il Manifesto) dopo un film di finzione e un doc (“Apnea”, con Anita Caprioli, Filippo Timi e Ignazio Oliva, e “Segantini - Ritorno alla Natura”), cui seguiranno altri due lavori, ancora un doc e un film di finzione (“Dentro Caravaggio” e “Mi Chiedo Quando Ti Mancherò?”, con Beatrice Grannò e Chiara Marsicano), sforna il proprio prosimetro: è un documentario, sì, ma autenticamente, compiutamente e poeticamente narrativo.

Montaggio di Claudio Bonafede. Sonoro in presa diretta e musiche di Massimiliano Fraticelli con Gianluca Mancini (“Welcome” ha la voce di Giulia Vallisari). Prodotto dallo stesso regista (ApneaFilm), Alessandro Salaorni (Larione10), Rai Cinema, MiBACT e con fond locali toscani.

Qualche tocco extra-diegetico e asimmetrico rispetto al flusso del narrato spontaneo: alcuni vers’in prosa dei Canti Orfici di Dino Campana (che a suo tempo, “ubriaco canta amore alle persiane”, soggiornò in loco, allora anche stazione climatica per convalescenze, ignoto agli autoctoni: breve tassello del lungo viaggio chiamato amore con la poetessa Sibilla Aleramo, e non sempre, ma anche rose, furono) letti da Flora Bonafede (figlia del montatore e di una doppiatrice, e coetanea della protagonista), un cancello di ferro battuto che cigolando si apre da solo sul piccolo camposanto finitimo, una “dronata” finale che riesce a non stonare troppo, e le poche musiche inserite al momento e al posto giusto.

E poi, in un mondo fatto, al “meglio”, dai Giovanni Papini, e, al peggio, da facce da culo e teste di merda come gli Ardengo Soffici, riscoprire l’esistenza di un luogo quale il cimitero militare germanico della Futa

 

scena

La regina di Casetta (2018): scena


Si caccia il cinghiale. Si mangia la neve. Risuonano alla porta i canti del maggio (fuori campo: Alan Lomax e Caterina Bueno). Luciferano di luciferina in luciferasi le lucciole.
E un giorno, da un’altra dimora in un altro paese, torneremo a casa, al borgo.
Ché per farlo, è stato necessario andarsene.

Scende a valle per prendere l’abbrivio verso il futuro, e tornare un domani alle “sue” montagne, regina di due mondi.

 

* * * * (¼) - 8.25

 

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Ed infine, sono abbastanza orgoglioso d’essere riuscito a portare a casetta questo pezzo senza utilizzare il termine resilienza. Ecco, non ho resistito (a non farlo).

Il film è fruibile sul libero catalogo di RaiPlay, qui: https://www.raiplay.it/programmi/lareginadicasetta

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