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Boogie Nights. L'altra Hollywood

Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film

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La recensione su Boogie Nights. L'altra Hollywood

di champagne1
7 stelle

Siamo alla fine degli anni ‘70. Una sera Eddie, lavapiatti di un locale notturno, viene notato da Jack Horner, un regista di film “per adulti” che, complice i dissapori familiari del giovane, lo lancia nel settore delle pellicole hard con lo pseudonimo di Dick Diggler. Piacere ed entusiasmo, oltre alla sua prestanza fisica, spediscono il ragazzo fra le stelle di quel particolare settore, permettendogli di cominciare a vivere come un divo hollywoodiano. Nonostante la buona affinità con Jack e il resto della squadra, Dick, che gradualmente comincia a entrare nel circuito della dipendenza da sostanze, rompe a un certo punto i rapporti con la troupe convinto di potersela cavare autonomamente e persino in campi diversi da quelli cinematografici.

Non sa che quello sarà l’inizio di una discesa irrefrenabile…

 

 

Anderson fa un film complesso, non facilmente inquadrabile: sembra una commedia, ma non ricordo di aver mai visto una commedia di 2 ore e mezza. C’è senz’altro l’elemento drammatico, soprattutto nella seconda metà, ma il finale è quanto di più rassicurante e sdrammatizzante possibile.

Potrebbe sembrare un film pornografico, ma non c’è una sola scena esplicita..

Un po’ documentaristico, nel presentare l’evoluzione dell’Hard dalla pellicola da distribuire la cinema (ancora con velleità quasi artistiche) alla videocassetta di scarsa qualità da godersi nel soggiorno di casa: un po’ a testimoniare il declino della creatività dei mitici anni ‘70 nell’edonismo reaganiano degli anni ‘80, tutti votati al profitto a qualsiasi costo.

 

Tanti rimandi a De Niro e Scorsese, un po’ per la struttura del racconto che fa venire in mente Casino, un po’ per il monologo finale ricalcato da quello di Jake LaMotta in Toro Scatenato.

E poi tanti personaggi apparentemente minori minuziosamente disegnati, come per esempio il giovane e timido omosessuale interpretato da P. Seymour Hoffman o il tecnico delle luci alle prese con una moglie ninfomane interpretato da William Macy.

Ma l’altro rimando fin troppo evidente è quello alla Febbre del Sabato Sera: le scene dei balli in discoteca, un certo modo di vestire e la sontuosa colonna sonora a ricordare la musica funky e la disco (con la nota stonato dell’attore di colore innamorato del .. country!); insomma ironia, bella musica e riflessioni sul tempo che passa, come se Paul Thomas Anderson avesse pensato di usare una sua versione particolare di American Graffiti.

 

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