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Dio è donna e si chiama Petrunya

Regia di Teona Strugar Mitevska vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Dio è donna e si chiama Petrunya

di articolotre
8 stelle

Bisogna averne fatta di strada per diventare così coglioni da non avere ancora capito che non ci sono poteri buoni. (da De André) Beh? Chi ve l'ha fatto fare di nascere donne? (mio)

Siamo in Macedonia nel 2018 in un paesino nel quale c'è l'usanza di una processione religiosa al termine della quale il prete getta nel fiume dal ponte una croce che darà felicità a chi riuscirà a prenderla. Quel giorno è oggi. Un rimbalzo della croce la fa arrivare vicino alla grassoccia trentenne Petrunya che è la prima a prenderla, ripresa dai telefonini di alcuni presenti.

Il branco dei maschi tipo macho-nazionalista la circonda: la tradizione vuole che sia un uomo a prendere la croce! Riescono a portargliela via. Intanto è sceso il prete, disorientato. Quando se la fa dare dal capobranco Petrunya riesce a riprendersela e a sparire con quella.

 

La giovane donna torna a casa mentre in tv scorrono le immagini dell'accaduto. La madre che la disprezza perché è grassa, malvestita e senza lavoro riconosce la figlia, la insulta, la picchia. Intanto arriva in casa la polizia. Petrunya non ci sta a consegnare la croce e viene portata in centrale.

La commentatrice televisiva con cameramen al seguito li ferma chiede perché la portino via, ottiene solo risposte maschiliste in cui si confonde una tradizione locale con la legge. Poi interroga dei passanti dai quali ottiene le solite risposte maschiliste, mentre un altro si chiede perché si preoccupi di queste stupidaggini quando sul paese pesa il dramma della mancanza di lavoro.

In centrale Petrunya verrà trattenuta fino a notte fonda.

 

Subisce pressioni, intimidazioni, minacce, sia dal capo della polizia che dal prete, ma non si presta a restituire la croce. Viene proposto di denunciarla per furto ma qualcuno fa notare che in tv e in internet ci sono video che smentirebbero questa tesi. Con il passare delle ore la pressione sale, ci sono minacce fisiche, videocamere coperte perché non venga registrato quello che avviene lì dentro. Petrunya è chiamata puttana, cagna, vacca, autrice di una provocazione che potrebbe costarle cinque anni di galera. Quando il branco degli ultrà si ricostituisce fuori dal commissariato non viene disperso, anzi viene fatto vedere a Petrunya: che pensi bene a quello che sta facendo. Si arriva a lasciarla uscire a rischio di un linciaggio. In effetti viene insultata, minacciata, gettata a terra, sputacchiata e le tirano una secchiata d'acqua addosso. Ora la polizia interviene temendo il peggio, anche perché l'inviata tv continua a riprendere e a trasmettere.

 

Il branco attacca la stazione di polizia, viene rotto il vetro dell'ingresso. Ora che sono visti come cattivi ne vengono presi un paio e portati dentro. Uno proprio dov'è Petrunya, di nuovo minacciata insultata e sputacchiata. Arriva anche il procuratore, che in modo più velato rinnova le minacce legali. Ma quando Petrunya gli chiede se la accusa per la violazione di una legge dello stato o per altro non può più insistere oltre. Alla fine la lasciano andare nella notte, con la sua croce, insieme al prete. Questi ormai rassegnato le augura felicità senza più chiederle la croce. È Petrunya che gliela restituisce spontaneamente augurando felicità a lui perché ora "ne ha più bisogno".

 

La frase finale di Petrunya si riferisce al racconto del lupo e della pecora che ricorre più volte nel corso del film. Prima Petrunya si sentiva la pecora minacciata dal lupo travestito da pecora, ora si sente lei il lupo travestito. E che le pecore stiano bene attente.

 

Basta cambiare il nome Macedonia e il nome Petrunya e può essere ovunque.

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