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L'età giovane

Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film

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La recensione su L'età giovane

di reginaldo
10 stelle

Film bello e coraggioso, frutto di una gestione sofferta, ma originata dal proposito immediato, dopo gli attentati a Bruxelles del 2016 da parte dei fratelli Dardenne, di rappresentare il dramma della radicalizzazione nel loro Paese.

L’ultima opera dei fratelli Dardenne tocca un nostro nervo scoperto, nostro in quanto europei, ma anche, semplicemente, in quanto esseri umani. Per questo soggiogati, e dirottati, da enormi contraddizioni etiche e sociali.

L’età giovane è quella adolescenziale, la più scoperta di fronte alle lusinghe delle verità senza sfumature, alle suggestioni del tutto o nulla. Il luogo è il Belgio dei due registi, dove le ferite inferte dall’esaltazione religiosa sono vive e brucianti. L’adolescente protagonista, Ahmed, di origine marocchina, privo della presenza paterna, vira in pochissimo tempo dalla spensieratezza alla radicalizzazione, complice la figura ipertrofica di un Iman le cui prediche soddisfano un suo bisogno bulimico di certezze.

Attorno, l’ambiente umano, familiare, ri-educativo in cui gesti e parole cercano, con amore, pazienza, ma anche con rabbia e disperazione, di riportare Ahmed alla “ragione”, trovando davanti a loro un muro impenetrabile. Il ragazzo risponde associando al rito religioso delle abluzioni e delle preghiere atteggiamenti di odio, disprezzo e aggressività specie verso le figure rappresentative femminili (in quanto “impure” e “blasfeme”): la sorella, la madre e, principalmente la maestra.

Il materiale della corazza gelida di Ahmed è variegato e indecifrabile. Vi potremmo percepire, certo, il rifiuto acritico e testardo del mondo degli adulti e la convinzione del protagonista di dover essere depositario assoluto della morale e della giustizia. E, forse, anche il riflesso di una civiltà che si illude di poter conciliare un benessere materiale con la devastazione predatoria di territori e popolazioni. Ma i due registi, che ancora una volta si cimentano nella rappresentazione spietata dell’umano, si tengono più che mai distanti, sul piano critico ed emotivo, dalla scena e ne osservano, insieme allo spettatore, l’evolversi drammatico. Essi stessi disarmati, ci lasciano in balia dei fatti e a confronto con i vuoti, le carenze, le ferite che dell’essere umano compongono una vulnerabilità costitutiva.

La fragilità è nelle espressioni di rigida ipertrofia del se, negli errori, a volte tragici, di tutti i personaggi, nell’incapacità-impossibilità di riparare, nel fallire spietato dei propri strumenti tecnici e razionali e nell’esondazione acritica di sentimenti. Così, il confronto di ognuno con la propria finitudine diventa il tema essenziale del film e ci riporta a quanto di più antico e strutturale esista nella storia dell’umanità. Agghiacciante la constatazione che l’uomo può ritrovare la propria umanità nell’Humus, toccando con mano, anche tragicamente, il proprio limite. E’ forse questo il momento in cui in qualche modo i fratelli Dardenne si accostano, sul piano affettivo, allo spettatore, e scoprono un sentire che va oltre qualsiasi giudizio morale.

Essenziale e impeccabile, accanto alla regia e la cura scenografica, la recitazione degli attori, soprattutto del giovane protagonista, non ancora conosciuto, Idir Ben Addir, nei panni di Ahmed.

 

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