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Jungle Cruise

Regia di Jaume Collet-Serra vedi scheda film

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La recensione su Jungle Cruise

di mck
6 stelle

Bringing Up Pants. (E comunque è impossibile perdersi: esci a Peschiera e prosegui per 3 km verso nord sulla Gardesana Orientale.)

 

Che in vece di “Riders of the Lost Ark” assistendo a “Jungle Cruise” mi sia venuto in mente “the Lost City of Z” è senz’altro un mio (magari puranche grosso) problema (che invece di pensare all’installazione presente in vari DisneyLand a partire da quello originale sin dalla sua apertura nel 1955 mi sia ricordato del “Colorado Boat” di GardaLand di metà anni ‘80 è cosa più comprensibile), ma il film diretto-conto-terzi da Jaume Collet-Serra (il cui cinema rientra a pieno titolo nella vastament’estesa categoria del “lo Conosco Senza Bisogno di Conoscerlo”: quella roba lì, insomma) risulta gradevole: questa roba qui, per l’appunto (la “messa in abisso” di un’attrazione di un parco divertimenti).

“Affrontammo l’oceano, per poi essere sconfitti dal fiume.”

E sono altresì consapevole del fatto che far notare una cosa del genere equivale al questionare s’una macchia di sugo che imbratta la canotta di un Salvini quando il vero problema è il cervello che percola come cerume dalle orecchie, ma… se i protagonisti risalgono il Rio delle Amazzoni e poi l’Ucayali... come diamine è possibile che ad un certo punto affrontino delle rapide… in discesa? 

“Non mi pagano le persone che porto fuori, ma solamente le persone che riporto indietro.”

A parte le buone prove di Dwayne “the Rock” Johnson (che ritorna in Amazzonia dopo il “the RunDown” di Peter Berg e dimostra ancora una volta di più di saper recitare benino - dalla tamarraggine di “Pain & Gain” alla cazzutaggine di “Empire State” - e che il suo soprannome non deriva dal grado di espressività) e di una bracalona Emily Blunt (My Summer…

 

…of Love, Charlie Wilson’s War, Sicario, A Quiet Place, A Quiet Place: Part II), è da segnalare/ribadire la presenza di Jesse Plemons (“the Master”, “Breaking Bad”, “Olive Kitteridge”, “Fargo - 2”, “Black Mirror: USS Callister”, “the IrishMan”, “El Camino”, “I'm Thinking of Ending Things”, “Judas and the Black Messiah”, “the Power of the Dog”, “Killers of the Flower Moon”) in versione pseudopodo del Kaiser/König Wilhelm II (e precursore di Hans Landa), mentre chiudono il cast Jack Whitehall, Paul Giamatti, Édgar Ramírez (che “deve confrontarsi” con la versione kinskiana dell’Aguirre herzoghiano) e Veronica Falcón. E, se la sceneggiatura di Michael Green (“Kings”, “American Gods” e “Blade Runner 2049”) e Glenn Ficarra & John Requa (“Bad Santa” e “This Is Us”) così come la fotografia (di Flavio Labiano) e soprattutto il montaggio (di Joel Negron), come sempre in questi prodotti (se poi targati Satana, pardon, Disney), sono condotti a forza verso una contronatura industriale, invece le musiche dello stakanovista James Newton Howard (tutto lo Shyamalan di mezzo, da “the Sixth Sense” ad “After Earth”, e ultimamente il Malick di “the Hidden Life”) riescono - nel loro piccolo - a proporre la propria gradevolezza.

La parte più emozionante è senz’altro - al netto di quelle col giaguaro coccoloso motioncapturizzato - quella che mette in scena - anche se si tratta di CGI - l’incontro con le Inia g. geoffrensis.

Bringing Up Pants. (E comunque è impossibile perdersi: esci a Peschiera e prosegui per 3 km verso nord sulla Gardesana Orientale.)

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