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Il capitale umano - Human Capital

Regia di Marc Meyers vedi scheda film

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La recensione su Il capitale umano - Human Capital

di leporello
7 stelle

    Rincasando in bicicletta al termine del suo turno di servizio, un giovane cameriere viene investito da un auto misteriosa; dopo un breve attimo di esitazione, l’autista riparte senza prestare soccorso, e la vittima si ritrova in gravissime condizioni all’ospedale.
Dopo questo incipit vagamente “thriller”, la storia si sposta su due realtà familiari distinte: da una parte Drew (Liev Schreiber), agente immobiliare di mediocre talento, ex giocatore d’azzardo, in pessimo rapporto con tutto ciò che concerne la finanza e la gestione del danaro in genere, in ottimo rapporto però con la bella e giovane seconda moglie Ronnie (Betty Gabriel), psicanalista o forse solo “counselor” e buona matrigna per la figlia di lui Shannon (la giovane e brava Maya Hawke che, a dispetto di Ethan Hawke e Uma Thurman, suoi genitori, un po’ alla madre sì, ma assomiglia e ricorda più una giovane Liza Minelli...).


    Dall’altra parte troviamo Quint (Peter Sarsgaard); ricco sfondato per via delle ciniche speculazioni di borsa in cui è maestro, tanto da potersi permettere di acquistare così, con uno schioccar di dita, un intero cinema teatro d’epoca e di interesse storico per regalarlo alla moglie Carrie (Marisa Tomei), che vanta un tentativo fallito di carriera di attrice alle spalle, è fragile di nervi e sentimentalmente confusa, e invischiata in un desiderio infantile di “arte” che neppure lei sa come decifrare. Jamie (Fred Echinger), Il figlio di costoro, immaturo e superficiale nonché succube mentalmente del successo paterno, è “momentaneamente” fidanzato con Shannon, motivo per il quale le due coppie (tre con quella di adolescenti) finiscono per frequentarsi.
Drew, con l’intenzione di realizzare qualche guadagno, approfitta subito della confidenza con Quint per cercare una corsia preferenziale in un investimento del tutto azzardato per uno che si trovi nelle sue condizioni socio-economiche, arrivando a sottoscrivere anche false documentazioni fiscali. Intanto sua moglie Carrie, dopo una serie avuta di aborti, gli annuncia di essere incinta di due gemelli...

 

    La storia trova poi numerosi risvolti (un innamoramento serio per Shannon, un testimone misterioso sulla scena di quell’incidente stradale lasciato lungamente a tacere dopo l’inizio) e numerose svolte, impossibili da riassumere (soprattutto per fortuna di voi che leggete, direi). Ma c’è da sottolineare l’efficacia della struttura a spirale della sceneggiatura, una spirale strettissima che va, torna, riviene e si rincorre in un arco di tempo di pochissimi giorni, rivivendo più volte le stesse scene ogni volta da diversa angolatura e solo dopo l’aggiunta di un nuovo elemento. Una struttura certamente non nuova, che a me personalmente spesso manda in confusione, ma non in questo caso. Perchè se da una parte vi è il demerito (forse) di perdere troppo spesso la “messa a fuoco” (Drew, ad esempio,  che nella prima parte del film ha il ruolo centrale, rimane più tardi totalmente assente dalla scena, che si sposta sugli altri personaggi via via divorandoli un po’ tutti), in altre parole: se la continuità del racconto appare spesso singhiozzante, anche a discapito di una coralità delle figure presenti che può essere tranquillamente considerata come punto potenzialmente a favore, dall’altra dà comunque l’impressione di non perdere mai il filo, un filo che gira invisibilmente attorno a quell’incidente d’auto e che alla fine (un finale non troppo travolgente, peccato per  alcune piccole banalità del tutto evitabili) ricuce tutto come nella tradizione dei migliori thriller.

 

    Certamente interessante la regia, a parte le suddette sbavature, specie nel saper sostenere il ritmo emotivo nonostante gli inevitabili giramenti di testa. Ma più di tutto mi è molto piaciuta Maya Hawke, già qualificata figlia d’arte, che dimostra una grande maturità  e si candida come promessa di un futuro che, dati i tempi contaminati che corrono, speriamo non venga a mancare a nessuno.

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