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Il mostro di St. Pauli

Regia di Fatih Akin vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Il mostro di St. Pauli

di alan smithee
5 stelle

CINEMA OLTRECONFINE

Amburgo anni '70. Un balordo alcolizzato di nome Fritz Honka si reca con assiduità in uno squallido locale conosciuto appunto come The Golden Glove, frequentato da anziane prostitute, che l'uomo, nonostante la grettezza dei modi e lo scarso appeal che lo caratterizza, rimorchia presso il suo altrettanto squallido appartamento.

Il suo modo di fare sesso, animato da istinti animaleschi e violenti, gli scatena istinti omicidi che si tramutano, poco per volta, in altrettante brutali uccisioni, in grado di trasformarlo in un maniaco seriale.

Il particolare più sconcertante è che, nonostante le indagini, l'uomo riesce ad agire in modo indisturbato, non solo nell'atto di eliminare in preda ad un raptus incontenibile le sue vittime, ma pure nella gestione, ancora più impegnativa e complicata, dei cadaveri, legata alla problematica di gestione dei poveri resti, spesso martoriati e mutilati per poi essere smembrati e fatti sparire in ogni luogo.

L'aspetto più sorprendente del film enigmatico, ma sostanzialmente poco riuscito che segna il ritorno in regia del regista turco Fatih Akin, è la trasformazione che riduce il giovane attore di bell'aspetto Jonas Dassler, in un pazzo psicopatico incontenibile, dallo sguardo strabico, la dentatura asimmetrica e sbavante in grado di  conferire al personaggio i lineamenti di una bruttezza tale da suscitare repulsione. 

Per il resto il film, che calca la mano sugli aspetti più brutali, sulla carneficina gratuita e la relativa mattanza delle vittime, spesso ugualmente repellenti e quasi in linea col nostro assassino, ma nello stesso tempo rifugge più che può i contorni di genere, senza peraltro scegliere altri fini stilistici se non quelli di una ostentazione piuttosto fine a se stessa, pare non sappia quale sentiero stilistico percorrere, limitandosi a raccontare come un turpe giornalaccio di cronaca nera, i termini di una ordinaria brutalità senza più misura, che rende un assassino seriale, come un cittadino normale in grado, nonostante tutto, di passare inosservato e agire per mesi e mesi senza essere smascherato.

Di fatto Akin, che aveva già molto deluso con il suo precedente lavoro "Oltre la notte" (pur premiato al festival di Cannes per l'interpretazione indubbiamente accorata e partecipata di Diane Kruger), punta qui tutto sulla provocazione, sull'ostentazione grandguignolesca di situazioni turpi che si contornano di ambientazioni e stili sopra le righe e quasi barocchi molto e sin troppo calcati, ove certo il dettaglio scenografico appare molto puntualizzato e scandagliato, ma comunque pur sempre fine a se stesso.  

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