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Bonjour tristesse!

Regia di Otto Preminger vedi scheda film

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La recensione su Bonjour tristesse!

di LorCio
8 stelle

Sin dai titoli di testa espliciti, mutanti e geniali di Saul Bass (occhi, lacrime, cuori, colori essenziali ma ruvidi) ben si capisce l’intenzione di fondo di un film del genere: Otto Preminger, senza snobismi o con chissà quali sofismi, confeziona (in terra francese, nella quale si era trasferito negli anni cinquanta) un fiammeggiante e al contempo glaciale mèlo tratto dall’omonimo e popolare romanzo di Françoise Segan.

 

Al centro della scena un insolito triangolo che vede: un vedovo cinquantenne dongiovanni e assai frivolo; sua figlia follemente innamorata di lui (o della sua immagine); e un’amica di famiglia molto repressa che diventa nuova compagna del papà. Il finale non può che essere tragico. Il tempo non esiste, esistono soltanto i ricordi. Ricordi a colori, perché i giorni della spensieratezza non possono che essere esuberanti come le tinte di Georges Périnal (fotografia che sa esaltare una Costa Azzurra che forse non esiste più), e presente (o anche futuro, perché la speranza, forse, non ci sarà più) in bianco e nero come se fosse un’autopunizione, un esilio volontario ed inevitabile lontano dall’impossibilità della felicità.

 

A suo modo è anche un romanzo di formazione, se vogliamo anche abbastanza crudele ma anche fondamentale per capire la pericolosa necessità del dolore. Jean Seberg, i cui occhi inondano lo schermo con indecente splendore, sa rappresentare perfettamente le tenerezze e le cattiverie dei giovani in uscita dai confini dell’adolescenza e il film appartiene soprattutto a lei, per quanto il gigionesco David Niven e l’autorevole Deborah Kerr siano assolutamente sublimi e buoni per tutti le stagioni.

 

Accanto a loro, si stagliano due partecipazioni di simpatico interesse: Walter Chiari che sottolinea la componente brillante (molto accesa nella prima parte) con una caratterizzazione buffa; e un’adorabile Mylène Demongeot da premio che marylineggia con personale autoironia. Ciliegina sulla torta: Juliette Gréco che intona nell’incipit la canzone che dà il titolo al film. Altri tempi.

 

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