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Keep Cool

Regia di Zhang Yimou vedi scheda film

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La recensione su Keep Cool

di Aquilant
6 stelle

Osare. Fortissimamente osare. Ecco il pressante imperativo di Zhang Yimou che con un action movie dal percorso vertiginoso coglie di sorpresa tutti coloro che si erano assuefatti ai ritmi blandi ed alle atmosfere immote di molta sua filmografia precedente. In questo effettistico “Keep cool” dal finale censurato, di “Yimou” vecchio stile rimane ben poco. Si percepisce piuttosto l’influsso di Wong Kar-Wai, i punti in comune con “Hong-Kong Express” ed “Angeli perduti” ci sono eccome. Ma laddove l’uso della macchina da presa da parte di quest’ultimo era indirizzato maggiormente ad esaltare una fluida dinamicità di movimenti caratterizzata da una rutilante eleganza formale, più che altro prossima ad un’astrazione coreografica, Yimou se ne serve per instaurare un concitato gioco destrutturante, aggredendo i soggetti con insistenti primi piani ravvicinati presi spesso dal basso verso l’alto, caratterizzando il tutto con significative sovraesposizioni. Ed emergono immancabilmente un coinvolgente senso della scena ed un prepotente effetto di simultaneità e partecipazione inseriti in un registro ironico e grottesco, con un contorno di immagini dal forte peso cromatico.
Il regista compie atti di inaudita violenza nei riguardi di un modo tradizionale di concepire la ripresa cinematografica. Fin dall’incipit mozzafiato della sua creatura si lancia in una corsa senza freni verso un modo stimolante di fare cinema non esente da un pizzico di sana follia. Sbatte letteralmente in faccia ai soggetti la macchina da presa sempre manovrata a mano. Fa ondeggiare ripetutamente le immagini a destra e a manca con un sinistro dondolio. Deforma a suo piacimento lineamenti di visi già fin troppo stravolti, gratificandoli di evidenti distorsioni grandangolari. Effettua arditi tagli compositivi e con un pizzico di sano sadismo si adopera per far soffrire all’audience un sano e rigenerante mal di mare.
I primi annichilenti venti minuti possono essere additati senza tema di smentita come un probante esempio di iperdinamismo dalle lancinanti pulsazioni interiori. Personaggi impietosamente braccati dall’occhio vorace dell’obiettivo che vortica come in preda al ballo di San Vito. Pedine umane dalla debordante fisicità tese ad inscenare improbabili sceneggiate megafoniche sotto lo sguardo corrucciato di babelici grattacieli improntati ad un deciso atteggiamento censorio. Atmosfere tragicomiche che ci fanno presagire l’imprescindibile. Ben presto però la pellicola comincia a palesare una decisa carenza d’ossigeno, cristallizzandosi inaspettatamente in una serie di sequenze dall’andamento logorroico. Situazioni e concetti reiterati fino all’inverosimile tracimano dallo schermo andando ad inondare irrimediabilmente l’incredulo spettatore con la loro inconsequenzialità. Anche l’uso della macchina da presa manovrata a mano sortisce un effetto stancante causato da immotivate forzature e la noia continua ad aleggiare indisturbata E l’aggravante di un disastroso doppiaggio italiano (per chi può avere a noia la sdrucciolevole cadenza cantonese) non fa altro che peggiorare la situazione. A nulla vale una leggera ripresa nel finale: le accattivanti premesse dell’inizio sono miseramente naufragate. Resta comunque la visione iniziale di una Pechino odierna come non avevamo mai avuto l’occasione di ammirare, con le sue visioni di futuristici grattacieli ed i bonus di disinvolte ragazze abbigliate all’ultima moda. Poca roba? Forse. Ma quanto basta per pervenire alla sufficienza.





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