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Every Day a Good Day

Regia di Tatsushi Ohmori vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Every Day a Good Day

di alan smithee
7 stelle

FEFF 21 – UDINE: CONCORSO

tea ceremony feel-good film”

I cerimoniali e le tradizioni di un tempo, che la frenesia caotica e dispersiva dei giorni nostri spinge a considerare, con tutta la superficialità spesso ottusa del caso, come semplici momenti di cauto e distratto rispetto verso un passato che non può più essere in grado di stare al passo con la frenesia dei ritmi digitali moderni, si rivelano al contrario, dispensatori di sentimenti e suggeritori preziosi di modalità di intendere ed approcciare le incognite della vita di fatto indovinate e carpite con una adeguata presa di coscienza.

Una consapevolezza che la tecnica vecchia come la storia ha maturato lentamente a suon di tentativi e di pazienza meditata, attraverso le quali la ritualità di un gesto compiuto non tanto meccanicamente, ma coadiuvato dalla messa in funzione di tutti e cinque i sensi, aiuta a conferire alla persona istruita in tal senso, la consapevolezza illuminata e corretta di tutto un corso di vita altrimenti sviato dalle singole problematiche di cui è intrisa la quotidianità più banale di ognuno di noi.

Questa è l'esperienza privilegiata ed illuminante che vediamo maturare gradatamente in Noriko nel corso di 24 anni, da quando, giovane studentessa dal futuro incerto, intraprende la decisione di iscriversi ad un corso che le faccia apprendere la antica e filosofica cerimonia del te: non proprio una reliquia culturale fine a se stessa, ma una tecnica manuale che apre la mente e che accompagnerà la giovane lungo il suo incerto e travagliato futuro, fatto di piccole grandi crisi esistenziali, attraverso le quali la donna riuscirà a maturare la consapevolezza che dà titolo al film, ovvero che “ogni giorno è un buon giorno”.

Un rituale che aiuta a perfezionare una propria consapevolezza di sé coerente con una personalità propensa ad avvicinarsi alla migliore presa di coscienza delel proprie possibilità, e abilita ad una gestualità che infonde saggezza e coscienza critica altrimenti surclassate dalla banalità dei gesti quotidiani frettolosi e compiuti senza alcuna concentrazione o premeditazione.

Un film, finemente diretto da Omori Tatsushi, intriso di intimità e di freschezza, di quella saggezza preziosa che aiuta a tendere verso una perfezione altrimenti nemmeno lontanamente ipotizzabile.

Una sorta di “Pranzo di Babette” giapponese ugualmente proteso verso una perfezione del gesto che anela alla perfezione del risultato finale, in nome di un arte che è non solo la materializzazione del sublime risultato finale, ma che è anche un raggiungimento di un equilibrio spirituale che rende migliori e superiori.

Tra gli ispirati interpreti, la giovane protagonista viene resa con mirabile partecipazione da Haru Kuroki, già conosciuta precedentemente in The long excuse di Miwa Nishikawa, e The little house, di Yoji Yamada, mentre la anziana depositaria della cerimonia del tè è stata appannaggio della nota interprete Kirin Kiki, vista in diversi bei film di Kore-eda (Ritratto di famiglia con tempesta) e Naomi Kawase (Le ricette della signora Toku).

 

 

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