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Deliria

Regia di Michele Soavi vedi scheda film

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La recensione su Deliria

di alan smithee
6 stelle

Una compagnia teatrale sta dando il tutto per tutto nella preparazione di uno spettacolo musicale, sorta di horror in maschera con sottofondi hard-rock. La tensione è molto alta, e lo stress del regista (il cupo e tenebroso David Brandon, attore teatrale e cinematografico piuttosto noto all’epoca, bello e d’aspetto austero) incute ansia e tensione tra gli attori, proprio per il fatto che per ognuno di essi la riuscita dello spettacolo è la chiave di svolta di carriere fino a quel momento mai veramente decollate, e la circostanza che, se positiva, potrebbe trasformare in professionisti degli sconosciuti ancora impegnati in spettacoli poco più che amatoriali.

Quando la protagonista, Alice (Barbara Cupisti, in quegli anni la regina dell’horror, iconica quasi come una versione italiana degna di una Jamie lee Curtis), incidentalmente si sloga una caviglia durante un passo di danza pericoloso, la sua amica Betty la convince a raggiungere di nascosto, e contro la volontà del dispotico regista, una clinica nelle vicinanze, ove farsi medicare.

Raggiunto il luogo, le due scoprono trattarsi di una casa di cura per malati mentali, ove peraltro è stato appena accolto un pericoloso criminale, accusato di molteplici sadici omicidi a sangue freddo di ragazze incrociate a caso sul suo cammino.

Fatto sta che le ragazze, ignare, dopo essere state prese in cura da un medico di quell’inquietante luogo di cura, nel tornare al teatro, trafelate in macchina sotto una pioggia battente e furiosa, si portano dietro, nascosto nel sedile posteriore, il folle maniaco.

A complicare le cose l’iracondo regista, oltre a tentare di licenziare Alice attribuendo la parte ad una sua rivale, decide di far chiudere a chiave entrambe le uscite del teatro, dandone in custodia le stesse ad una attrice di fiducia, che diverrà la seconda vittima del folle, dopo Betty, uccisa a picozzinate tra la pioggia nel parcheggio accanto alla macchina.

La messa in scena pertanto si trasformerà in una vera e propria lotta per la sopravvivenza all’interno di un beffardo microcosmo teatrale che finisce per assumere le dimensioni di un piccolo mondo tutto pertugi e anfratti in cui nascondersi, o dai quali stare alla larga per paura di incontrare il mostro.

Opera prima celebrata con la vittoria al Festival tematico di Avoriaz, Deliria, prodotto dal famigerato ed instancabile Joe D’Amato, costituisce il brillante esordio in regia di Michele Soavi, divenuto tra fine anni ’80 e inizi ’90 il più promettente successore di Argento, salvo poi dedicarsi ad altre tematiche ed ambiti (film per la televisione soprattutto, spesso di notevole successo ma anche un po’ travisanti quella promettente carriera nel cinema di genere in cui ha dimostrato carattere e indole spiccata).

Un film più interessante dal punto di vista visuvo e registico, piuttosto che da quello della storia, volontariamente soffocata in un interno anche per ragioni economiche.

Infatti Deliria, che all'uscita fece un certo scalppre, anche se eicordo per me fu impossibile rouscire a vecerko in sala, causa una distribuzione tutt'altro che capullare nelle sale, è  un film povero di budget, scritto cosi' così, ma forte di una certa arguta verve tecnico-registica che fa dienticare o tralasciare certi dialoghi non proprio originali, ma magari godibili, in cui non si rinuncia a citare, anche spudoratamente, certi lampanti riferimenti ad un maestro indiscusso del genere come De palma, con ovvio rimando al suo meraviglioso ed incomparabile “Il fantasma del palcoscenico”. Ambizioni che avvelenano gli animi, come l'avidità da parte di un impresario depositario di ricompense da elargire con parsimonia, ed un pazzo maniaco che agisce quasi più per abitudine, che per premeditazione o un vero e proprio scopo definito; quasi a divenire egli stesso vittima di un male insito nell’uomo inteso come specie animale, e quindi quasi portatore incolpevole di una indole, di un fremito assassino inevitabile ed inesauribile. Un microcosmo in cui l'impellenza di sopravvivere, alimenta la mostruosità e l'egoismo che debordano dentro ognuno di noi nel reagire istintivamente al desiderio innato di sooravvivere.

 

 

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