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The Farewell - Una bugia buona

Regia di Lulu Wang vedi scheda film

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La recensione su The Farewell - Una bugia buona

di laulilla
8 stelle

Una bella lezione di serenità che può aiutarci a vivere meglio.

 

Mentire non sempre è cosa riprovevole: alcune menzogne possono persino allungare la vita! È uno dei messaggi che ci lascia questo bel film, secondo lungometraggio di Lulu Wang, regista cinese, ora cittadina americana, che ha forti legami con la terra delle sue origini e con quella parte della famiglia che è là e intende rimanerci.

 

In quest’opera, presentata con successo al Sundance Film Festival, la regista racconta un’esperienza vissuta, distaccandosene in parte, quel tanto che occorre per non rendere facilmente riconoscibili le persone reali che profondamente ama: si ringiovanisce di molto, perciò, e diventa la trentenne Billi che un po’ le rassomiglia e che è interpretata dalla rapper Awkwafina.

 

Newyorkese di origine cinese, come i suoi genitori, Billi, non diversamente dai suoi coetanei, ha trovato un lavoro precario per una paga così bassa che non riesce neppure a garantirsi l’indipendenza dalla famiglia, con la quale non vive più: non ha un buon rapporto con la madre che, pienamente americanizzata, le attribuisce ogni responsabilità per l’incerta condizione in cui si trova: non ha grinta; non è intraprendente...

 

Billi vuole molto bene alla nonna paterna, l’ultra-ottuagenaria Nai Nai (Zhao Shuzhen), che, dopo averla allevata, era tornata nella sua Cina lasciandole l’indelebile ricordo della speciale tenerezza solidale che da sempre lega i nonni ai nipotini che hanno viziato e fatto crescere, accettandone capricci e difetti senza riserve.
Per la saggia Nai Nai, che vive serenamente la propria vecchiaia, e che sente spesso anche Billi (per lei si era convertita allo Smartphone), si sta sta avvicinando ora il triste momento del commiato dal mondo. Sembra, infatti, che non le resti molto da vivere: un brutto tumore ai polmoni inarrestabile nella sua progressione, sta indebolendo le sue forze mentre l’inevitabile calvario delle terapie che le si prospettano mobilita tutti i parenti, compresi gli “americani”, che lasciano le loro abituali occupazioni per “proteggerla” dalla verità della malattia: la paura sicuramente la aggraverebbe.

 

Billi è combattuta fra l’esigenza di rinnovare, con la sua presenza, l’amore di un tempo, e quella, tutta americana, di essere sincera con lei, ma la sua ostinata voglia di verità rimane isolata: un po’ per volta comprenderà che la sua visione del mondo nasce dall’antropocentrismo della cultura occidentale, dalla convinzione che ogni uomo sia dominatore della natura e padrone della propria vita, e che a ognuno perciò tocchi decidere di sé e del proprio futuro, ingaggiando, come Antonius, il cavaliere bergmaniano, una sfida perdente con la morte.


Ogni cinese, invece, sa da sempre che la morte non è che il naturale ritorno a quel grembo materno che è la terra, che dà la vita e che se la riprende per riproporla, in altra forma, ad altri esseri viventi, nell’incessante e ciclico alternarsi della vita e della morte.
Le immagini del film accompagnano il trascorrere del tempo con dolcezza, mentre le inimicizie e le incomprensioni si compongono nel ricordo di chi è stato e che tutti sentono ancora vicino.

Una bella lezione di serenità che può aiutarci a vivere meglio.

 

 

 

 

 

 

 

Uno dei film più profondamente “natalizi” che mi sia capitato di vedere.

 

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