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Rambo: Last Blood

Regia di Adrian Grunberg vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Rambo: Last Blood

di YellowBastard
5 stelle

Quesito fondamentale: dopo 37 anni dalla prima pellicola, 44 anni dalla fine di una guerra tragica e impopolare per gli Stati Uniti come quella del Vietnam e alla venerabile età di 73 per il suo storico interprete, l'eroe di guerra John Rambo ha ancora qualcosa da dire che non sia potenzialmente superato, dietrologico o terribilmente enfatico?

 

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Incredibilmente a dirsi, sembrerebbe proprio di sì.

E sarebbero anche spunti interessanti - dall’isolamento, anche/soprattutto psicologico, di una vittima di guerra dettato dall’incapacità di relazionarsi ormai col mondo esterno in quanto trasformato/trasfigurato dai continui traumi a cui è stato sottoposto fino ad una vita vissuta con i fantasmi del passato a rendere drammaticamente impossibile il vivere l’oggi (o il futuro) - se non fosse che il film preferisce trattare tali opportunità in modo estremamente superficiale e/o scialbo, a dimostrazione di quanto gli sceneggiatori non fossero interessati ad entrare davvero nella psiche di un sopravvissuto.

 

Nato da un soggetto ideato da Stallone stesso, che lo ha anche sceneggiato insieme a Matt Cirulnick, Last Blood, titolo che fa esplicito riferimento a quello della prima pellicola come anche al romanzo di David Morrel del 1982 che ha dato i natali al personaggio portato poi al successo cinematografico dall’attore italo-americano, è diretto da Adrian Grunberg, alla sua opera secondo dopo Viaggio in Paradiso e una notevole esperienza come primo assistente alla regia in pellicole come Jack Reacher, Apocalypto e Jarhead, ma che si rivela del tutto inadatto a trattare con onore e il giusto tatto una tale icona del cinema preferendo, probabilmente anche per questione di budget, puntare dichiaratamente a un certo cinema di serie B, estremamente splatteroso e violento soprattutto in un finale brutale e sanguinario ma passando, per arrivarci, attraverso una vicenda piatta e monotona, elaborata in modo svogliata, con dialoghi scadenti e girata in modo altrettanto sciatto.

 

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Evidente comunque l’intenzione di Stallone e degli autori di collegarsi direttamente alla prima pellicola e a tentare, come con Rocky, di dare alla storia di Rambo il suo giusto epilogo, con la necessaria epica e drammaticità, e in questo è davvero ammirevole la dedizione e il trasporto di Sly che ci mette anima e corpo - soprattutto corpo. E sangue. - in ogni sequenza nel disperato tentativo di reggere, praticamente da solo, tutto il peso (estremamente gravoso) della pellicola.    

 

Un John Rambo simile a Rocky, nelle intenzioni di marketing ma anche nell’aspetto, ma non però nell’indole o nella sua natura, profondamente diversa rispetto al pugile di Philadelphia.

Rocky infatti si è arreso all’età e ha passato il testimone, accettando di finire a fare anche il nonno.

Rambo non solo non si arrende (e forse nemmeno può farlo) ma sembra conservare lo spirito vendicativo di una volta, incurante degli acciacchi o del fatto di non avere più niente e nessuno per cui combattere.

Perchè se è impossibile fare del bene così come è impossibile salvare le persone che ami perchè a questo mondo il bene sembra non esistere più, a Rambo allora non rimane che fare quello che gli riesce meglio, ovvero incanalare la propria rabbia e il proprio odio in un ultimo bagno di sangue, senza alcuna pietà per nessuno.

Perchè quello che il finale sembra suggerire è che solo attraverso la morte e la distruzione, lasciando cioè sfogare liberamente i propri istinti omicidi, Rambo riesca finalmente a raggiungere quel senso di pace e di soddisfazione - e di sentirsi, finalmente, a casa - in un finale che, in realtà, a ben guardare ha davvero poco di rassicurante. 

E non assomiglia affatto a un lieto fine.

 

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