Regia di Ken Loach vedi scheda film
Ricky è padre di famiglia, vive con la moglie e i due figli, un adolescente e una bambina, in una casa in affitto, con l'ambizione di poterne un giorno comprare una. Svolge un'attività di consegna di pacchi per un'azienda del settore, dove figura come collaboratore autonomo pur dovendo sottostare in realtà alle rigide direttive imposte in termini di orari (pesantissimi), tempi di consegna e disposizioni impartite dall'Azienda.
La moglie, anche lei non dipendente, assiste come badante anziani presso i loro domicili, cui si reca per qualche ora, tempo di cambiarli e farli mangiare.
Entrambi possono dedicare pochissimo tempo ai figli, ed è l'adolescente Sebastian a dare i maggiori problemi: non studia, salta la scuola, viene convocato dal preside per una rissa con un compagno piuttosto che dalla polizia per aver rubato delle bombolette spray in un supermercato.
Ken Loach resta nei territori che predilige, nella periferia, con questo film dal titolo un po' strano (?), ci racconta il precariato dei nuovi “autonomi” coloro che pur mantenendo gli oneri dei lavoratori dipendenti ne perdono di fatto i diritti.
Ne nasce anche una riflessione sull'autorità in famiglia: il figlio apparentemente “trascurato”, cui però i genitori dedicano tutto il tempo possibile e si ammazzano di fatica per far crescere e studiare, può considerarsi autorizzato a far quello che vuole? Sia il padre, che sopratutto la madre, sembrano fin troppo indulgenti con lui.
La struttura del film è solida, Loach non delude, almeno secondo me, riesce a catapultare lo spettatore in una realtà lavorativa aspra e senza sconti, nella solitudine dell'anzianità (raccontata con tenerezza), con rigore e stile asciutto. La parte relativa all'adolescenza ribelle forse meritava un maggiore approfondimento: lo spettatore non riesce a conoscere bene e fino in fondo il figlio Sebastian, cosa vive, i cambiamenti (anche fisici: zero su questo aspetto) e comportamentali di quello che era un bambino modello (come dice il padre). E al regista di “Sweet Sixteen” questo è poco perdonabile.
Il finale è l'unico finale possibile, e per questo forse il più giusto.
Voto (da 1 a 10): 7.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta