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Rapacità

Regia di Erich von Stroheim vedi scheda film

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La recensione su Rapacità

di scandoniano
10 stelle

Un minatore parte al seguito di un dentista itinerante e a sua volta diviene medico, aprendo un proprio studio in città. L’amore per l’ambigua Trina, la donna presentatagli dall’amico Marcus, ed un’improvvisa vincita in denaro lo renderanno vittima della “rapacità” sociale…

Lungometraggio firmato da Eric Von Stroheim, la cui genesi e lavorazione sono oggetto di numerose leggende, che ne fanno un “film maledetto”. Il film, emblematico dello stile di lavorazione avanguardistico e perfezionista dell’autore austriaco, era stato inizialmente concepito per una durata di 7 ore, con un’aderenza maniacale al romanzo di Frank Norris da cui è tratto (perfino le scene sono girate nei medesimi luoghi riportati nel romanzo e gli attori hanno patito le pene dei personaggi del romanzo). La versione più corta del film, che è anche la più nota, si assesta sui cento minuti circa ed è una variante, soffertissima, opera di tagli e privazioni necessarie volute dalla produzione, ma non approvate dal regista; le sezioni tagliate, andate perdute, ne fanno uno degli esempi principali di “film perduto” nell’epoca del muto.

Sullo sfondo musicale quasi esclusivamente eseguito al pianoforte (piuttosto monocorde, spesso incapace di sottolineare il registro emozionale delle scene), si narrano le vicende di McTeague, della sua scalata sociale e delle conseguenze di una posizione economica diversa da quella di origine.

Rapacità” ha un fascino magnetico, merito dei personaggi, interpretati da due attori dall’espressività spiccata e con una forza comunicativa efficacissima. Gli occhi inquietanti di Gibson Gowland ed il viso mistico di ZaSu Pitts fanno della visione di “Greed” un’esperienza indimenticabile. Fondamentale alla stessa stregua anche l’ottima sceneggiatura, che delinea splendidamente gli afflati emozionali e i fortissimi sentimenti dei personaggi (tra cui gioca un ruolo di primaria importanza Marcus, l’antagonista di McTeague, interpretato da Jean Hearsholt). Il film si caratterizza inoltre per le lunghe didascalie che anziché limitarsi, come accadeva spesso all’epoca, a riportare le battute degli attori, servono  ad integrare il valore delle immagini, per sottolineare, raccontare, insinuare...

Una pellicola di una complessità spaventosa per l’epoca, ricco di metafore, con grande attenzione per il valore allegorico delle vicende, pregno di una simbologia inusuale per un film degli anni ’20. In aggiunta, uno struggente realismo, marchio di fabbrica di Stroheim, mai arresosi all’idea di un cinema hollywoodiano votato quasi esclusivamente al divismo (che di fatto lo portarono ai margini dello star system). Tale realismo si concretizza in una violenza per nulla edulcorata, che pervade tutto il film (il marito che strangola, il gatto che attacca, Marcus che aggredisce…), al pari una violenza che è anche psicologica, con numerose scene di privazioni e sacrifici… Di notevole livello gli allestimenti scenografici, curatissimi nei dettagli.

Pezzo di storia della settima arte, summa della poetica di Von Stroheim, tzunami finanziario per la produzione  (il film costò uno sproposito ed incassò pochissimo al botteghino). Film fondamentale per la storia del cinema.

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