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La 24 ore di Le Mans

Regia di Lee H. Katzin vedi scheda film

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La recensione su La 24 ore di Le Mans

di maso
6 stelle

Il sogno cullato per anni da McQueen di realizzare un film sull'automobilismo e i sentimenti che trasudano dai piloti si concretizzò in questa pellicola dell'anno di rottura per lui 1971, dopo mille rinvii e tentativi mancati di avviare la macchina.....produttiva, per McQueen avrebbe dovuto rappresentare la vetta della sua carriera e lo scrigno in cui conservare e consegnare ai posteri  il suo living on the edge attraverso l'esperienza accumulata nei gloriosi anni sessanta spesi a cavallo di motociclette spinte al massimo o al volante di auto da sogno condotte davanti alla telecamera donando al cinema performance memorabili, mai errore di valutazione fu più grande!

Lo sbaglio madornale di McQueen fu quello di riporre il culo in seggiole che non gli competevano come quella del regista mentre era anche afflitto da problemi di separazione con la moglie Neile Adams e da un crescente disagio psicofisico tendente alla megalomania causato dall'abuso di cocaina; il regista incaricato era John Sturges che lo aveva diretto ne "I magnifici 7" e “La grande fuga”, due dei suoi film più famosi durante la lavorazione dei quali si era sviluppato un legame robusto fra il regista e l'astro nascente ma ormai McQ era una superstar e voleva fare le cose a modo suo, ovviamente Sturges lo vaffanculò dopo pochi mesi di riprese chiudendo la collaborazione con una frase passata alla storia “Sono troppo ricco e troppo vecchio per questa stronzata di film” e il prezioso materiale faticosamente da lui girato fu cestinato per ritorsione, mentre il caos regnava sul set e McQueen continuava a dire a chi gli chiedeva una sceneggiatura da leggere che lo script era tutto nella sua testa assai sconvolta e tanto sconclusionata fu la storia al punto di svanire giorno dopo giorno o per meglio dire non comparire mai proprio per il disaccordo totale fra Sturges e il suo pupillo: il primo voleva fortemente realizzare un intreccio drammatico della trama che sviluppasse i sentimenti, le paure, la rivalità fra i piloti costantemente a duello con la morte e con il cronometro mentre McQueen mirava ad ottenere un film di 3 ore puramente documentaristico sulle corse e per sua opinione il tutto era già automaticamente drammatico di per se tanto che tre squadre di sceneggiatori erano quasi costrette a decifrare per intuizione l’immagine mentale del film scolpita nella sua testa senza ricavarne mai uno script degno di questo nome.

McQueen era carnefice e vittima di se stesso e si aggirava come un pazzo a 200 miglia orarie per la pista di Le Mans al volante della sua Porche n°20 mentre il direttore della fotografia Robert Hauser realizzava delle immagini eccellenti e brillanti ancora oggi ma quando il misconosciuto Lee Katzin, il sostituto di Sturges, si presentò disinvolto chiamandolo Steve fu preso per la collottola e sollevato di peso per poi essere freddato con la frase “Io sono il signor McQueen…ricordalo bene”.

Lo stato confusionale della superstar e la pesante responsabilità di realizzare un film del quale era stato l'ideatore ed il punto di riferimento dei produttori si abbatté come una mannaia di proporzioni gigantesche sulla lavorazione di "La 24 Ore di Le Mans" che rimane un documento storico su di un epoca leggendaria delle sfide a tutto gas fra le Ferrari e le Porsche ma anche un film strutturalmente sbagliato e inconsistente in cui l'aspetto psicologico dei personaggi è inesistente e di conseguenza scarsamente sviluppato, per farla breve le sequenze della competizione sono eccellenti ancora oggi e la lunga introduzione commentata dai suoni e le usanze dei protagonisti e degli spettatori ci trascina nel mondo dell'alta velocità in maniera quasi ipnotica poi comincia il film vero e proprio, cioè non comincia: dopo mezz'ora di sguardi e ammiccamenti McQueen esplode in un monosillabo in fuga solitaria come lui medesimo nei suoi cambi d'umore che lascia tutti a bocca aperta in attesa di sviluppi della trama che non arriveranno mai, l'emblema di uno stato paranoico della superstar ormai conclamato.                 

Le fasi del filmaking furono una guerra continua a partire dal casting: si fece fatica a trovare una obbligatoria figura femminile da affiancare a Steve che dopo essersi reso conto come Diana Rigg fosse già impegnata e l’ex modella Maud Adams troppo alta anche per le sue scarpe rialzate optò per la senza centimetri e senza personalità Elga Andersen, il suo antagonista n°1 è il tedesco Sigfried Rauch su Ferrari ma non lo si può neanche lontanamente paragonare al connazionale Schoemaker a parità di professioni, non sfigura il suo compagno di scuderia corso Luc Merenda protagonista della sequenza più memorabile del film ossia un pauroso incidente ripreso così egregiamente da sembrare materiale di repertorio e montato con stop motion e ralenty a sottolineare una volta di più che sotto l’aspetto squisitamente sportivo e spettacolare il film è molto valido ma latita tremendamente sotto l’aspetto umano, emblematica la presenza e contemporaneamente l’assenza per il poco screen time del nostro Angelo Infanti che raccontando l’appuntamento con McQueen per ottenere la parte riferisce di come cercò il più possibile di non apparire più alto di lui resosi conto di avere a che fare con una superstar in pieno delirio perché alle prese con i suoi demoni dalle tasche piene di dollari all’inseguimento di un bolide che per intenzioni doveva vincere la critica ed avvincere il pubblico ma si rivelò più una macchina della morte capace di mandarlo in crisi matrimoniale, recidere i rapporti con i suoi collaboratori storici come Bob Releya e Mario Iscovich, prosciugare le casse della Solar e per un pelo non gli stroncò anche la carriera.

Le riprese furono un vero e proprio cataclisma giornaliero perché il film a detta di Steve era sulle macchine e solo macchine si vedono, anche l’unica battuta degna di nota di un mai così taciturno McQueen dice testuali parole “Molta gente attraversa la vita sbagliando tutto. Per noi che corriamo in macchina è importante farlo bene: ciò che avviene prima e dopo è solo attesa”, e tutto per le macchine fece: si racconta di incidenti a ripetizione uno dei quali per poco non gli costò la vita quando ormai si era in autunno ed i giochi erano fatti, aneddoti riferiscono di un McQueen inferocito con chi scattava una foto senza permesso, di microfoni all’interno delle roulotte per poter spiare chi parlasse male di lui, di gente liquidata con un calcio in culo per aver regalato una sua maglietta senza autorizzazione, di intere giornate passate ad osservare Steve ordinare agli addetti alle vetture di togliere il fango dalle ruote o aggiungere insetti sul parabrezza per poi chiudere la giornata con una manciata di secondi di materiale girato.

L’esito commerciale del film fu logicamente deludente ma in definitiva il giudizio per quanto mi riguarda è la combinazione di due risultati opposti: un buon documentario sull’automobilismo denso di atmosfere anni settanta che fanno sempre bene, un film scarso sotto l’aspetto drammatico e privo di un intreccio convincente tanto quanto lo scavo psicologico dei personaggi. 

L’unica coincidenza fortunata fu girare il film nel 1970 poiché solo in questo anno la Ferrari partecipò alla 24 ore di Le Mans dando vita ad un duello unico nella storia di questa mitica gara con una rivale leggendaria come la Porsche.

Lee H. Katzin

La sua presenza in questa casella è assolutamente di facciata: il vero regista del film è Steve McQueen.

Steve McQueen

Di questo film si ricorda più la sua immagine al volante con casco e ahimè mascherina d'amianto indosso piuttosto che la sua immensa capacità recitativa ma è anche vero che questo vivere a tutto gas fa parte della sua figura leggendaria....sempre mitico.

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