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Gli uomini d'oro

Regia di Vincenzo Alfieri vedi scheda film

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La recensione su Gli uomini d'oro

di mck
6 stelle

Da Lamberto Dini ad Elsa Fornero, qui non è il paradiso.

 

L’opera seconda come regista, sceneggiatore (qui con Alessandro Aronadio, Renato Sannio e Giuseppe Stasi) e montatore di Vincenzo Alfieri (1986) è la quarta messa in scena della Rapina alle Poste di Torino del 1996 dopo quelle più a ridosso degli eventi ad opera di Carlo Lucarelli ("Blu Notte", stag. 1, ep. 6) nel 1998 e di GianLuca Maria Tavarelli ("Qui non è il Paradiso", lungometraggio cinematografico con Fabrizio Gifuni, Valerio Binasco e Antonio Catania) nel 2000 e quella, letteraria e più coeva al film in questione, di Bruno Gambarotta ("il Colpo degli Uomini d'Oro": non è che le due opere si parlano, è che i 4 furono sin da subito ribattezzati così dalla Stampa per via dell'ammontare complessivo della refurtiva) del 2018, ed ha come scopo principale quello di porre in chiaro una cosa: se lui lo vuole, e se qualcuno glielo permette, Fabio De Luigi può anche inequivocabilmente dimostrare d’essere un bravissimo attore.

 

Giovanni Ragone è perfetto, Giampaolo Morelli (qualche cedimento sulla caratterizzazione “buffa”) ed Edoardo Leo (qualche cedimento sulla caratterizzazione “cattiva”) funzionano molto bene, GianMarco Tognazzi paga un po’ l’eccesso di caratterizzazione che deve rappresentare, ma non stroppia, e i comprimari confezionano prestazioni di valore, da Susy Laude a Matilde Gioli, passando per Mariela Garriga, e approdando ai poliziotti, da quelli di scorta, Davide Mancini e Francesco Zenzola, agli investigativi, Sergio Pierattini e Guglielmo Poggi.

 

Fotografia del sodale Davide Manca, che ha illuminato e inquadrato anche l’esordio de “i Peggiori” e il recente ed ultimo “Ai Confini del Male”.

Le musiche di Francesco Cerasi (il Mio Corpo Vi Seppellirà), specialmente sul finale e gli assurdi titoli di coda, sono un po’ stonate rispetto al tono generale del film, ma la colpa - di averle utilizzate (così) male - è del regista.

 

Da Lamberto Dini ad Elsa Fornero, qui non è il paradiso.

 

* * * ¼ - 6½

 

1996

27 giugno, giovedì, verso sera

Una sveglia appesa al muro e trafitta da un coltello. Se la vedete esposta in una sala del Castello di Rivoli, non avete dubbi: si tratta di un'opera d'arte e i critici vi spiegheranno che con quel gesto l'artista, esponente del movimento New Dada, ha voluto, novello Faust, fermare il tempo, sull’esempio di Marcel Duchamp e dei suoi ready-made. Se invece il pugnalatore di sveglie è un autista delle Poste di Torino, la prospettiva cambia; come sempre è il contesto che genera il significato. Tanto più che la sveglia in questione è stata trovata dagli agenti della Polizia che hanno fatto irruzione nella piccola mansarda di via Fratelli Robecchi 19 a Strevi, in provincia di Alessandria, abitata da Giuliano Guerzoni, un emiliano di 36 anni che da una decina di anni risiede in quel paese dell'Alessandrino e da 4 è separato dalla moglie. L’uomo, lo sveglicida, non c’è, è sparito dalla sera prima.

Perché le forze dell'ordine si interessano di Guerzoni dal momento che pugnalare una sveglia non è ancora un reato?

Facciamo un passo indietro…

 

(Bruno Gambarotta, “il Colpo degli Uomini d’Oro - il Furto del Secolo alle Poste di Torino”, Manni, 2018)   

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